2. Ufficio dei Memoriali, volume 69, notaio Enrichetto delle Querce, c. 203v, 1287, II semestre
No me poriano zamay far emenda
de lor gran fallo gl’ocli mey, set illi
non s’acechasero, poy la Garisenda
torre miraro cum li sguardi belli,
e non conover quella (ma lor prenda!)
ch’è la maçor dela qual se favelli:
perzò zascum de lor voy che m’intenda
che zamay pace no y farò con elli;
poy tanto furo, che zò che sentire
dovean a raxon senza veduta,
non conover vedendo, unde dolenti
sun li mey spiriti per lor falire;
e dico ben, se ‘l voler no me muta,
ch’eo stesso gl’ocidrò qui scanosenti.
Metro: sonetto ABABABAB; CDECDE
Si tratta della più antica testimonianza documentata di una lirica dantesca. Il sonetto No me poriano zamay far emenda fu verosimilmente composto a Bologna e probabilmente in bolognese dal giovane poeta fiorentino. Spetta al notaio Enrichetto delle Querce il merito di avere pubblicato il sonetto della Garisenda in apertura del suo Memoriale, che si pone quale modello per le generazioni future di notai dei Memoriali. Se in questo sonetto è vivida l’immagine di una Bologna accogliente, la palinodia della Torre Garisenda, operata verso il 1306 nel XXXI canto dell’Inferno, dimostra come la città dello Studium, al pari di Firenze, fosse divenuta ormai per Dante una città infernale:
Qual pare a riguardar la Carisenda
sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada
sovr’ essa sì, ched ella incontro penda:
tal parve Antëo a me che stava a bada
di vederlo chinare, e fu tal ora
ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.
(Inferno, XXXI, 136-141)
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