Sezione 8 | STORIE DI FAMIGLIA

Vetrina 1 | Storia di una famiglia “mista”: la famiglia Pisa

Arturo Pisa abita in via di Casaglia; è benestante e vive dell’amministrazione dei propri beni, fra cui un palazzo a Bologna, in via Risorgimento, e alcuni terreni a Minerbio e Baricella (1); è sposato con Giulia Pavani, non ebrea, e ha tre figli, Pietro, Vico e Marco, tutti sposati con donne ariane. Vivono con lui le due sorelle, non sposate e non iscritte alla comunità ebraica e il figlio Pietro, sposato a Ida Buratti Simonetti, ariana. Arturo risulta simpatizzante del PNF, a cui è iscritto dal 1933 (2) e si dichiara battezzato a Ferrara, dato su cui vengono richiesti accertamenti come sulla reale appartenenza alla razza ariana della moglie, e sul battesimo dei figli. Da questi accertamenti risulta che Arturo Pisa aveva due processi penali, entrambi non portati a termine per motivi procedurali: per bancarotta fraudolenta (22/05/1930) e per aver omesso il deposito di bilancio annuale obbligatorio della sua società anonima (03/04/1930) (3).

Arturo, prima commerciante in ferro, si dedica in seguito alla sua tenuta agricola in provincia di Ferrara, in cui effettua anche lavori di risanamento e bonifica, elementi utili per ottenere la discriminazione, ma non così importanti, almeno secondo il questore di Ferrara dove si trovano i terreni. Per proteggere la famiglia e il patrimonio, fa richiesta di discriminazione in base all’art.14 del RDL del 17/11/1938 che stabilisce che possono essere “discriminati” gli iscritti al PNF dal 1919 al 1924. Ma nonostante il matrimonio con un’ariana, la simpatia per il regime fascista e il battesimo dei figli, Arturo Pisa non vede accolta la sua domanda di discriminazione e allora per salvare il patrimonio di famiglia, cede le proprietà ai figli, che, solo dopo ripetute indagini, ottengono la dichiarazione di non appartenenza alla razza ebraica (4), certificata dalla Direzione generale per la demografia e la razza.

1. Comunicazione della Prefettura all'Intendenza di Finanza sui beni di Arturo Pisa, 31 agosto 1942, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
2. Comunicazione dei carabinieri alla Questura sulla famiglia Pisa, 27 agosto 1938, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
3. Lettera del Questore di Ferrara al Questore di Bologna sulla condotta morale e politica di Arturo Pisa, 24 febbraio 1939, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
4. Richiesta della Prefettura alla Questura di accertamenti sulla razza, 20 settembre 1940, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 2 | Storia di una famiglia “mista”: la famiglia Pisa

Arturo Pisa è poi costretto a intestare il telefono ai figli e a subire il sequestro della radio; infine anche la richiesta per assumere un cuoco, un uomo di fatica e una cameriera di razza ariana, giustificata dalle precarie condizioni fisiche sue e della moglie, non viene accolta completamente: gli viene concesso di assumere solo una cameriera per un periodo di tre mesi dall’8 marzo 1939 all’8 maggio 1939 (5-6).

Sul figlio Vico, residente in via Di Frino 2, nonostante abbia avuto il riconoscimento della condizione di ariano (figlio di padre ebreo e di madre ariana) e sia stato battezzato, continuano gli accertamenti sulla razza, in quanto proprietario di una tenuta datagli dal padre.

A un certo punto, fra il 23 e il 25 gennaio 1941, una segnalazione anonima accusa Vico di contrabbando, cioè di acquisto e vendita al mercato nero, di un quintale di caffè. Viene interrogato il portiere dello stabile di via Di Frino che avrebbe trasportato il carico illegale in casa di Vico Pisa (7) ma il portiere nega di aver fatto questo trasporto, anche a causa del suo braccio “fanciullesco” deformato dalla spalla e sostiene non solo che nessun altro lo ha fatto, ma anche che la famiglia Pisa non riceve pacchi da tempo. Vengono interrogati i bottegai della zona, tutti confermano la “rettitudine” di Vico Pisa e della sua famiglia; viene eseguita alla presenza della moglie Adriana Witting una perquisizione domiciliare da parte di addetti alla squadra politica della Questura nella casa, nella cantina e nel granaio di Vico, ma non viene trovato nulla.

I fascicoli di questa famiglia sono stati studiati nel corso di un laboratorio realizzato nell'anno scolastico 2012-2013 dagli alunni della classe III G, della Scuola media Carracci-Guinizzelli di Bologna, coordinati dalla prof.ssa Giovanna Renzi. Il lavoro svolto è poi stato pubblicato nel 2014 (Noi non c'eravamo. Le leggi razziali spiegate ai ragazzi, a cura di G. Renzi, Bologna, Compositori, 2014).

5. Certificato medico sulla salute della moglie di Arturo Pisa, 20 dicembre 1938, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
6. Richiesta di Arturo Pisa al Questore per assumere personale di servizio di razza ariana, 21 dicembre 1938, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
7. Esito indagine dei Carabinieri su un presunto contrabbando di caffè, 3 febbraio 1941, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 3 | Un vero caso di solidarietà: Le vicende della famiglia Levi

La ricostruzione di parte delle vicende della famiglia di Ulderico Levi è possibile grazie ai fascicoli intestati a tutti i membri della famiglia e al racconto autobiografico di uno dei figli, Franco Levi. Intrecciando le fonti archivistiche con il racconto, sappiamo che dal 1940 la famiglia Levi risiede in via Saragozza 107 ed è composta da Ulderico Levi, dalla moglie Olga Usiglio, dai figli Clara e Franco e dai suoceri Celestino Usiglio e Ida Rimini (8).

Ulderico, nato a Mantova il 29/08/1884, è chimico farmaceutico, proprietario e direttore del laboratorio chimico Ivel’s (nome ricavato dall’anagramma del cognome Levi con il genitivo sassone, sito in via Castiglione 25). Ha partecipato alla prima guerra mondiale con il grado di Capitano farmacista e ha ricevuto una medaglia commemorativa; è di idee repubblicane e non è iscritto al PNF. La moglie Olga Usiglio, nata a Modena il 24/05/1892, è casalinga, non iscritta al PNF e indifferente al regime fascista. I due figli sono entrambi nati a Modena, da dove la famiglia si è trasferita a Bologna nel 1930: Clara, nata nel 1921, al momento dell’emanazione delle leggi razziali, frequenta il liceo Galvani, da cui viene espulsa, ma riesce a diplomarsi da privatista. Franco, nato nel 1919, nel 1938 è studente ad Applicazioni di Ingegneria da dove non viene espulso, ma è obbligato a non rimanere indietro neppure di un esame e per questo si laurea presto e con ottimi voti.

«Noi studenti ebrei potevamo continuare, ma guai ai fuori corso perché uno dei tanti folli regolamenti, suggeriti dallo spirito di vessazione, vietava ogni iscrizione. In altri termini si richiedeva a noi ciò che agli altri non si osava chiedere: di essere sempre perfettamente in pari con le lezioni e con gli esami; perciò fummo costretti a essere i più efficienti studenti del corso e, in fatto di voti, i migliori di tutta la Scuola di Applicazione di Ingegneria. Parlo dunque del periodo tra il ‘38 e il ‘41», così nel ricordo di Franco Levi (I giorni dell’erba amara).

8. Comunicazione del Commissariato di P.S. al Questore sulla famiglia di Ulderico Levi, 28 settembre 1938, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 4 | Un vero caso di solidarietà: Le vicende della famiglia Levi

Tutti i membri della famiglia Levi risultano iscritti alla comunità israelitica e godono di una buona situazione economica. Purtroppo la salute della nonna Ida è molto precaria, in quanto affetta da diverse malattie che nel corso degli anni peggiorano fino a portarla alla paralisi. Per questo motivo Ulderico Levi chiede il permesso al Questore di Bologna di poter assumere una donna di servizio.

Nel frattempo Clara, Franco e la madre rinnovano il passaporto per l’espatrio per vari paesi europei, l’Argentina e il Brasile, probabilmente per lasciare velocemente la città, visto l’inasprimento delle leggi contro gli ebrei (9). In realtà non partono, infatti Clara e Franco, nell’estate del ‘41 chiedono, ottenendolo, il permesso di allontanarsi per brevi periodi dalla città verso Sestola e Lizzano in Belvedere, a causa di una grave malattia di Franco, attestata dal certificato del dott. Tosi (10-11-12).

Sull’esempio della parte della famiglia che stava a Modena, Ulderico Levi, i figli e la moglie nel maggio del ‘43 decidono di lasciare Bologna e l’Italia e attraversano il confine verso la Svizzera, a piedi, grazie all’aiuto dell’avvocato Maccia, poi proclamato Giusto delle nazioni. Clara è incinta e giunta in Svizzera partorirà Salvatore, figlio di Giordano Coen.

Alla famiglia Levi sono stati confiscati mobili e immobili e un titolo intestato a Olga Usiglio del valore di 90.000 lire (13-14). Da un verbale di un commissario di P.S., si apprende che i coniugi Naldi dichiarano di aver nascosto e conservato alcuni mobili e oggetti per conto del signor Levi fino al suo ritorno nel 1945 per evitarne la confisca; Levi dichiara di aver ricevuto indietro tutti i suoi beni nell’ottobre del 1949 (15-16).

«Intanto i vicini si erano dati da fare per proteggere le nostre cose ... I Naldi, che abitavano sul nostro piano nella metà del grande appartamento originale, avevano, con molto coraggio, aperto le due porte di comunicazione e si disponevano a dire che era tutta roba loro. Ma questa era chiaramente la via diretta per la galera ... Bisognava disporre in qualche modo le cose che c’erano nella casa e far sparire i segni più evidenti della nostra recente presenza. Decidemmo che i Naldi sarebbero subentrati come padroni di tutto, lasciando al caso capire di essersi appropriati di qualcosa. Ma giuravano piangendo eterna fedeltà e pronta restituzione al ritorno, come avvenne puntualmente. Molt’altra gente in questi casi aveva invece esclusa subito l’ipotesi del ritorno dell’ebreo: facevano le parti senza aspettare ...» (I giorni dell’erba amara).

9. Comunicazione della Questura per il rinnovo del passaporto di Clara Levi, 19 dicembre 1939, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
10. Richiesta di Franco Levi al Questore per un permesso di soggiorno a Sestola per motivi di salute, 30 luglio 1941, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
11. Certificato medico sullo stato di salute di Franco Levi, 30 luglio 1941, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
12. Comunicazione al Questore di Modena del trasferimento di Franco Levi a Sestola, 31 luglio 1941, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
13. Comunicazione dell'Intendenza di Finanza alla Prefettura per la registrazione dei beni di Ulderico Levi,15 marzo 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
14. Segnalazione dell'E.G.E.L.I. di titoli intestati ad Olga Usiglio, 8 febbraio 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
15. Verbale del Commissariato di P.S. con elenco dei beni della famiglia Levi consegnati alla famiglia Naldi, 14 maggio 1945, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
16. Denuncia della situazione anagrafica ed economica della famiglia di Ulderico Levi alla fine della guerra, 9 agosto 1945, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici

Vetrina 5 | Antifascista ed ebreo: Ubaldo Lopez Pegna

Poco dopo l’emanazione delle leggi razziali, la famiglia Lopez Pegna arriva a Bologna da Ferrara, dove Ubaldo, il capofamiglia, ha perso la cattedra di filosofia che deteneva in un istituto magistrale (17); il nucleo familiare è composto dalla moglie Giovanna e dai tre figli Giuseppe, Ettore e Benedetto, nati rispettivamente a Sassari, Castiglione delle Stiviere e Reggio Calabria. Arrivati a Bologna, dopo vari spostamenti per l’Italia, dovuti anche a un’insofferenza al fascismo del capofamiglia, Ubaldo presenta regolare denuncia al comune di appartenenza alla razza ebraica. A Bologna Ubaldo insegna durante l’anno scolastico nella scuola israelitica e aiuta la moglie nella cartoleria in via Zamboni, di proprietà della moglie stessa, di «razza e cittadinanza italiana e di religione cattolica» (18-19). Nel 1943, chiusa anche la scuola israelitica, Ubaldo va a fare il commesso a tempo pieno nel negozio di cartoleria e di profumi della moglie ariana.

Le leggi contro gli ebrei si inaspriscono sempre di più e cominciano a girare in città le tremende verità sui campi di concentramento tedeschi; un decreto del 2 dicembre 1943 obbliga i proprietari di fabbricati dati in locazione agli ebrei di farne denuncia al Capo della Provincia e subito il sig. Ugo Pasi denuncia di aver dato in affitto il suo appartamento in via Vizzani 46 all’«ebreo Lopez Pegna Ubaldo» (20). Vengono così posti i sigilli all’appartamento dove i Lopez risiedono ed emessi mandati di cattura per Ubaldo e i suoi figli; per sfuggire a ulteriori persecuzioni, dopo aver trasferito una parte della merce della cartoleria della moglie presso il negozio di cartoleria dell’“amico” e ariano sig. Carli, Ubaldo e i figli maggiori decidono di fuggire in Romagna per unirsi a dei gruppi partigiani, mentre la moglie e il figlio minore si rifugiano presso uno zio in Lomellina.

17. Comunicazione dei Carabinieri alla Questura sulla famiglia di Ubaldo Lopez Pegna, 24 agosto 1942, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
18. Richiesta di Ubaldo Lopez Pegna al Questore di Ferrara per assumere domestica di razza ariana, 31 dicembre 1938, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
19. Richiesta della moglie di Ubaldo Lopez al Questore di presentare documenti sulla sua appartenenza alla razza ariana, 11 gennaio 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
20. Denuncia di Ugo Pasi al Questore per l'affitto dell'appartamento all’“ebreo”  Ubaldo Lopez Pegna, 14 dicembre 1943, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici

Vetrina 6 | Antifascista ed ebreo: Ubaldo Lopez Pegna

Ubaldo e i due figli maggiori si nascondono prima in zona Roveri, poi nella campagna ozzanese, dove trovano una rete di persone, fra cui l’ex-podestà di Ozzano Giovanni Pignatti, che li ospita e ne impedisce così la deportazione. Come racconta lo stesso Ubaldo, da Ozzano vanno a Cotignola dove aspettano per una settimana di unirsi ai partigiani, proposito che però, «per circostanze indipendenti dalla nostra volontà, non fu potuto mandare ad effetto».

Nel 1944 la moglie torna a Bologna, chiede e ottiene di poter tornare nel proprio appartamento perché ariana, ma quando vi entra nota che parte della mobilia è mancante (21). Una minima parte di mobili, due sedie e un piccolo divano in stile fiorentino, sarà casualmente ritrovata nel ‘46 nella sede del Partito repubblicano e Ubaldo Lopez avvierà le pratiche per rientrarne in possesso (22).

Non sembra invece andare a buon fine la denuncia fatta sempre nel ‘46 contro il sig. Carlo Carli, l’“amico” ariano che gli avrebbe dovuto conservare la merce: non solo la merce è stata venduta a sua insaputa ma anche a prezzi non concordati precedentemente con il proprietario della merce stessa (23). Ubaldo oltre a non riuscire a recuperare la merce, viene anche accusato di ingratitudine dal sig. Carli con queste parole: «dopo avergli fatto un favore, conseguendone esclusivamente del fastidio e nessuna utilità, il suo modo di procedere ha riscosso l’indignazione mia e dei miei congiunti».

Alla fine della guerra le condizioni economiche della famiglia non sono ottime, infatti il figlio Giuseppe, per proseguire gli studi presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Bologna, chiede di poter partecipare al concorso per 500 borse di studio indetto dal Ministero dell’Assistenza post-bellica per partigiani, reduci, profughi e perseguitati razziali (24).

21. Elenco dei mobili mancanti dall'appartamento della famiglia Lopez presentato dalla moglie di Ubaldo, 17 dicembre 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
22. Richiesta del Prefetto al Partito Repubblicano di restituire alla famiglia Lopez i mobili individuati, 15 gennaio 1946, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
23. Denuncia presentata alla Prefettura da Ubaldo Lopez Pegna contro Carlo Carli, 11 aprile 1946, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
24. Richiesta presentata da Giuseppe Lopez Pegna per partecipare ad un concorso per borsa di studio, 4 dicembre 1946, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici