Sezione 1 | LE REGOLE E L’ECCEZIONE

Vetrina 1 | Contra Judaeos

Il 2 settembre 1938 «Il Resto del Carlino» usciva dedicando la prima pagina alle decisioni prese in Consiglio dei ministri il giorno precedente (1). Con titoli come “Il Consiglio dei ministri per la difesa della razza” e “Difesa dal pericolo ebraico”, gli articoli plaudivano energicamente ai disegni di legge sugli ebrei: «Tempestivamente ed efficacemente l’Italia si difende dal pericolo ebraico e difende la razza».

E un corsivo firmato “Camicia Nera”, pseudonimo del redattore capo, Piero Pedrazza, esaltava quei provvedimenti che «valgono a preservare la purità della razza italiana contro una razza che non può essere assimilata ... Adesso sta per suonare l’ora della chiarificazione anche per gli ebrei d’Italia … far cessare l’inammissibile loro invadenza. Che l’alta banca, le assicurazioni, il grande commercio, l’editoria e altri rami fra i più delicati … siano monopolio di una minoranza non italiana, legata da evidenti vincoli di razza e di sentimenti all’antifascismo internazionale … non sarà tollerato». Il giornale, dal 1933 organo ufficiale del Partito nazionale fascista, si atteneva alle veline preparate dal governo, il quale si apprestava a dare veste ufficiale a quell’antisemitismo che, pur mai esibito, serpeggiava fin dalle origini nella cultura stessa del fascismo.

Intanto, nell’agosto del 1938, in una sorta di operazione preparatoria alle leggi che sarebbero state emanate di lì a poco, fu avviato un censimento degli ebrei, per la prima volta basato sul criterio razziale e non su quello religioso. Ma, in mancanza di norme che stabilissero con precisione, dal punto di vista giuridico, i criteri per la determinazione della razza, non pochi furono i dubbi, sui quali intervenne il Ministero dell’interno, che incaricò i prefetti di reperire le informazioni utili all’accertamento della razza (2) sia attraverso i registri degli iscritti alle Comunità ebraiche sia, nei casi più complessi, consultando gli atti di battesimo e di matrimonio, ma «tenendo presente che le conversioni religiose non hanno alcuna efficacia per modificare la discendenza di razza».

L’appartenenza alla razza ebraica doveva essere annotata sugli atti di stato civile e sui relativi certificati; per analogia, anche la carta di identità riportava la menzione della razza (3), finché il Ministero dell’interno non dispose (4) che su quest’ultima tale indicazione doveva essere omessa, poiché diversamente gli «ebrei non si munirebbero più tale documento con grave intralcio servizio polizia».

1. «Il Resto del Carlino», 2 settembre 1938, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Circolare riservata del Ministero dell’interno, 13 novembre 1938, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Modello per la menzione della razza sulla carta di identità, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
4. Telegramma del ministro dell’interno ai prefetti, 22 luglio 1939, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 2 | Razza biologica e razza giuridica

Nell’estate 1938 il regime diede ufficialmente avvio alla politica antisemita, trasferendo nel contesto giuridico e trasformando in legge concetti e termini mutuati dalla presunta scienza biologica che li aveva coniati: su di essi fu costruito una sorta di nuovo diritto, basato sull’antinomia “razza ariana-razza ebraica”. Si cominciò con un atto non legislativo, il «Manifesto della razza», che, firmato da dieci scienziati italiani, motivava “scientificamente” l’esistenza di una “razza italiana”, connotata in base a criteri biologici che ne avrebbero dovuto provare la superiorità sulla “razza ebraica”. E già in agosto il Ministero dell’interno ordinava che agli ebrei fossero precluse le cariche pubbliche, requisito inderogabile per le quali era l’appartenenza alla razza italiana (5).

In settembre si provvide a disciplinare i settori in cui sembrava più urgente intervenire. Furono colpiti per primi gli ebrei stranieri, privati della cittadinanza italiana e costretti ad abbandonare il Regno entro sei mesi. Con un decreto di grande importanza per l’organizzazione dell’intera campagna antiebraica, fu inoltre istituita la Direzione generale per la demografia e la razza, che ebbe un ruolo cruciale in tutto il progetto antisemita. Infine, in vista dell’inizio dell’anno scolastico, altri due provvedimenti riguardarono la scuola, con l’intento di scacciare “l’elemento ebraico” da un settore considerato strategico.

Ma l’ossatura della legislazione razziale fu il decreto 17 novembre 1938 n. 1728, con i provvedimenti per la difesa della razza italiana: 29 articoli per fissare limiti e divieti su ogni aspetto – familiare, lavorativo, patrimoniale – della vita e per definire giuridicamente l’ebreo come colui che «è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa». Era invece “considerato ebreo” chi «è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l’altro di nazionalità straniera». Si davano in sintesi tre categorie di cittadini: ebrei, considerati ebrei, non appartenenti alla razza ebraica.

Varie disposizioni amministrative integrarono poi le norme: una circolare del gennaio 1939 dava precise direttive agli uffici coinvolti nell’attuazione del decreto n. 1728/1938 (6), mentre altre impartirono istruzioni dettagliate, ad esempio, sugli artt. 1-2, che vietavano i matrimoni fra persone di razza italiana e persone di altre razze (7), o sull’art. 10, che sanciva l’incapacità dei cittadini di razza ebraica di prestare servizio militare (8).

5. Telegramma del Ministero dell’interno ai prefetti del Regno, 17 agosto 1938, Prefettura di Bologna, Gabinetto
6. Circolare del Ministero dell’interno, 30 gennaio 1939, Prefettura di Bologna, Gabinetto
7. Circolare del prefetto, 18 febbraio 1939, Prefettura di Bologna, Gabinetto
8. Circolare del Ministero della guerra, 3 settembre 1939, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 3 | Il ghetto immateriale

Dopo aver colpito le persone, la politica antisemita del regime prese di mira i beni degli ebrei.

Nel febbraio 1939 un nuovo testo di legge diede attuazione alle norme del decreto 1728/1938, che aveva fissato rigide limitazioni alla proprietà immobiliare e all’attività industriale e commerciale degli appartenenti alla razza ebraica, oltre che alla facoltà di goderne liberamente (9). In particolare gli ebrei non potevano possedere o gestire «aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione» o con più di cento dipendenti; né potevano possedere terreni con «estimo superiore a lire cinquemila» o fabbricati con «un imponibile superiore a lire ventimila». In virtù delle norme del febbraio 1939, le porzioni di proprietà eccedenti le quote consentite sarebbero state espropriate e un nuovo ente appositamente istituito, l’Ente gestione e liquidazione immobiliare (EGELI), ne avrebbe curato la gestione.

La produzione legislativa in materia razziale non lasciò scampo a nessun “giudeo”, come spregiativamente si preferiva chiamarli, e nessuno di loro poté eludere in alcun modo la definizione legale di ebreo attribuita dal regime e gli effetti che ne derivavano. Uno ad uno vennero smantellati anche i più banali diritti civili, rendendo sempre più esplicito l’intento di annientare l’identità ebraica e di emarginare e isolare i cittadini ebrei, colpendone il patrimonio e la vita sociale. Era già accaduto nel settore dell’istruzione con l’espulsione dalle scuole pubbliche di insegnanti e alunni ebrei e accadde ancora nell’agosto 1939, quando, ad esempio, il decreto n. 179 precluse ai cittadini ebrei l’esercizio di molte professioni, dalla medicina all’avvocatura, dal notariato al giornalismo. Una norma del 1942, ultima in ordine di tempo, li estrometteva infine da qualsiasi attività nel campo dello spettacolo. Il ministro dell’interno d’altro canto lo dichiarava apertamente (10): «separare quanto più è possibile gli italiani dall’esiguo gruppo di appartenenti alla razza ebraica … Occorre pertanto che i prefetti favoriscano nei modi più idonei e più opportuni questo processo di lenta ma inesorabile separazione anche materiale». Si moltiplicavano infatti costantemente gli inviti a vigilare perché «le leggi di difesa della razza abbiano sempre et in confronto di chiunque integrale applicazione» (11), inviti a loro volta seguiti dalle rassicurazioni di rito: le «leggi di difesa della razza sono integralmente applicate nei confronti di chiunque» (12).

9. Circolare del Ministero delle finanze, 21 marzo 1939, Prefettura di Bologna, Gabinetto
10. Telegramma del Ministero dell’interno, 26 giugno 1939, Prefettura di Bologna, Gabinetto
11. Il prefetto al questore, 1° aprile 1940, Prefettura di Bologna, Gabinetto
12. Il questore al prefetto, 6 aprile 1940, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 4 | Una singolare eccezione

Lo stesso decreto 1728 del novembre 1938, accanto a una lunga serie di regole, prevedeva la singolare eccezione della “discriminazione”, pensata per salvaguardare, almeno parzialmente, quanti potevano vantare benemerenze tali da meritare un trattamento di favore: erano insomma i meno ebrei tra gli ebrei. E su simili argomenti motivava la propria istanza di discriminazione Edoardo Bigiavi, fondata sulla «sua opera d’Italianità e difesa dell’Italianità in Egitto», dove era nato e vissuto per circa 50 anni, per poi trasferirsi a Bologna: «nato da genitori italiani … di famiglia di alti sentimenti patriottici e umanitari … avendo vissuto Italianamente, chiede alla sua tarda età di vivere il resto della sua vita puramente Italianamente». Dopo aver elencato meriti e attestazioni, Bigiavi sottolineava di aver rinunciato dal 1925 alla religione ebraica e concludeva di confidare nell’accoglimento della sua domanda (13). Su queste istanze decideva, con assoluta discrezionalità, il Ministero dell’interno, sulla scorta del parere dell’apposita Commissione per la discriminazione e degli accertamenti svolti localmente da Prefettura e Questura.

Inoltre, poiché il regime non aveva intenti persecutori ed anzi si distingueva per «serenità, umanità e senso di misura … caratteristiche dei buoni e dei forti», anche chi si trovasse in condizioni personali e familiari disagevoli poteva essere trattato con benevolenza. Così il questore di Bologna: «dal controllo sereno ed obiettivo di tutte le situazioni familiari e personali di ebrei non ho riscontrato elementi che inducano a particolare severità … Molti infatti sono i casi di discriminazione, nella massima parte fondati, rarissimi i casi di diffidenza o di opposizione verso il Regime … ogni cura sarà impiegata … nella rigida tutela della razza, non disgiunta da quel senso di opportunità e di umanità che consigliano casi particolari» (14). Ancora il questore peraltro, pochi mesi dopo, lamentava l’eccessivo carico di lavoro e l’impossibilità di rispettare le scadenze: «Domande di discriminazione finora presentate sono 209 delle quali finora istruite e trasmesse 87; rimangono pertanto in istruttoria 122 … non è possibile espletarle termine 15 marzo … a meno che non si voglia strozzare l’istruttoria e risolvere le pratiche con rapporto informativo sommario, insufficiente per un giudizio ponderato … in questi ultimi tempi l’ufficio politico, specialmente, è diventato una bolgia infernale da cui il personale non sa come ritrarsi» (15).

13. Edoardo Bigiavi alla Commissione per la discriminazione degli ebrei, dicembre 1938, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
14. Il questore al prefetto, 19 dicembre 1938, Prefettura di Bologna, Gabinetto
15. Il prefetto al questore, 6 marzo 1939, Prefettura di Bologna, Gabinetto