Sezione 6 | CAMPI DI CONCENTRAMENTO E DEPORTAZIONE

Vetrina 1 | I campi di concentramento per ebrei

Con l’ingresso dell’Italia in guerra nel giugno 1940 il regime fascista aveva predisposto l’internamento degli ebrei di nazionalità straniera. L’internamento di sudditi di stati nemici in caso di guerra era una prassi consolidata per tutti gli stati belligeranti: il fatto nuovo stava nell’individuazione degli ebrei come categoria a sé. Si insinuava sempre di più l’idea che l’ebreo era un nemico da cui guardarsi e contro il quale andavano presi severi provvedimenti.

«Risulta inequivocabilmente che non pochi ebrei hanno ancora una volta dimostrata la loro più ottusa incomprensione di fronte agli eventi politici et storici in corso confermandosi costituzionalmente avversi ad ogni sentimento nazionale». Con questa premessa il ministro dell’interno Buffarini Guidi, nel gennaio 1941, richiese di provvedere all’internamento in campi di concentramento di quegli «elementi locali ebraici che più danno luogo a sospetti» (1). A questa direttiva la Questura di Bologna rispose facendo presente che gli ebrei residenti nella provincia di Bologna non avevano manifestato sentimenti antinazionali e non ritenne opportuno formulare proposte di internamento (2).

La costituzione di appositi campi di concentramento per ebrei rappresentò un importante salto di qualità nella politica razziale fascista. Nel marzo 1942 un gruppo di ebrei sudditi inglesi, sfollati dalla Libia, vennero indirizzati a Bologna per «essere internati in campo di concentramento» (3). Gli ebrei libici vennero dislocati presso i comuni di Bazzano e Camugnano. Secondo i regolamenti ministeriali, agli internati dovevano essere garantite condizioni di vita e igienico-sanitarie adeguate, ma non sempre le direttive venivano rispettate. Gli ebrei internati a Camugnano versavano «in condizioni igieniche non troppo buone, tanto che fra di loro si è diffusa notevolmente la scabbia ed ultimamente si è verificato anche un caso di tigna» (4).

Benché queste prime misure fossero rivolte agli ebrei italiani in misura marginale, era chiaro che all’interno dell’amministrazione c’era chi favoriva un approccio più deciso per la lotta anti ebraica.  Tommaso Petri, reggente del Nucleo bolognese per lo studio del problema ebraico, chiese al questore un incontro per effettuare «minuziose ricerche su ogni nominativo di appartenenti alla razza ebraica» nella provincia di Bologna. Difficile non legare il senso di queste ricerche all’affermazione riportata in calce al documento «Delendi Judaei!» (5).

1. Telegramma del ministro dell’interno ai prefetti, 14 gennaio 1941, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il questore al prefetto, 22 febbraio 1941, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Il questore di Palermo al questore di Bologna, 12 marzo 1942, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
4. Promemoria di un funzionario di P.S., 22 luglio 1942, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
5. Il reggente del Nucleo bolognese per lo studio del problema ebraico al questore, 23 luglio 1943, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 2 | Tra due fuochi

Dopo l’8 settembre, con la costituzione della RSI e l’occupazione militare tedesca, la politica antiebraica si inasprì ulteriormente con provvedimenti e misure che colpirono la generalità degli ebrei italiani. L’antisemitismo rappresentò uno dei punti programmatici del fascismo repubblicano e segnò in maniera rilevante l’attività di governo della Repubblica di Salò.

L’ordinanza di polizia n. 5 del 30 novembre 1943 stabilì le modalità di attuazione di questa linea politica: «Tutti gli ebrei anche se discriminati … debbono essere inviati in appositi campi di concentramento». Si fece eccezione per i gli ebrei misti, che «ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana» (6). Uno dei punti cruciali e più controversi è il rapporto di collaborazione che si instaurò tra le autorità italiane e quelle germaniche, che portò alla deportazione nei campi di concentramento e di sterminio nazisti di migliaia di ebrei dall’Italia.

Subito dopo l’emanazione dell’ordinanza citata, le autorità germaniche nella penisola fecero pressioni sulle istituzioni locali repubblicane affinché collaborassero pienamente alla politica antiebraica nazista. Il 20 dicembre 1943 il Comando della polizia di sicurezza tedesca di Bologna richiese al questore la consegna «di tutti gli ebrei arrestati in base alla nuova disposizione italiana», specificando però, «secondo lo spirito della legge tedesca», di comprendere anche gli ebrei misti (7). Le richieste delle autorità tedesche erano quindi in contrasto con le disposizioni emanate dal Ministero dell’interno. Nel gennaio del 1944 il capo della polizia Tamburini ribadiva che le famiglie miste dovevano essere sospese dall’invio nei campi di concentramento. Inoltre sosteneva che sarebbero state «interessate autorità centrali germaniche per direttive intese assicurare permanenza ebrei campi di concentramento italiani» (8). Le indicazioni telegrafiche del Ministero lasciarono molti dubbi agli amministratori locali, tanto che il questore di Parma interpellò il collega bolognese in merito all’invio di ebrei al campo di concentramento di Fossoli, sul quale lamentava una mancanza di disposizioni. Questa la risposta: «la designazione del campo di concentramento di Fossoli di Carpi è stata fatta dal locale Comando Germanico delle SS, non avendo il Ministero dell’interno fatto conoscere l’esito degli accordi intervenuti con le autorità centrali tedesche» (9).

6. Decreto del Capo della Provincia, 2 dicembre 1943, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
7. Comandante SD Bologna a Questore, 20 dicembre 1943, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
8. Telegramma del Capo della Polizia ai Capi delle Province, 23 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
9. Questore di Bologna al Questore di Parma, 3 marzo 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 3 | “Nel dubbio che fossero ebrei, li abbiamo fermati”

L’occupazione tedesca dell’Italia sorprese molti ebrei italiani e stranieri che si erano rifugiati nel Paese. In una prima fase, nell’autunno del 1943, le autorità di polizia tedesche effettuarono autonomamente numerosi arresti di ebrei, che furono immediatamente deportati nei campi di concentramento in Germania, come accadde nella retata del 16 ottobre 1943 a Roma.

A partire dal dicembre del 1943, le forze di polizia della RSI presero l’iniziativa di effettuare gli arresti per attuare quanto previsto dall’ordinanza n. 5 del 30 novembre 1943. A quella data ormai molti ebrei avevano lasciato le grandi città, cercando di far perdere le proprie tracce, per cui le grandi retate si rivelavano inefficaci. Partì una caccia all’uomo e gli ebrei furono catturati alla spicciolata, nei piccoli comuni della provincia, e addirittura fin verso il confine con la Svizzera.

I fratelli Cottignoli furono fermati presso la stazione ferroviaria di Villa di Tirano, in provincia di Sondrio, il 10 dicembre 1943: «abbiamo scorto tre individui, che scesi dal treno, si dirigevano verso l’uscita con fare circospetto. Nel dubbio che fossero ebrei, li abbiamo fermati» (10). I Guglielmi, madre e figlio, vennero invece arrestati dai carabinieri nel gennaio 1944 a Castiglione dei Pepoli, presso una villa da loro acquistata nel settembre 1943. All’arresto sfuggì il fratello, probabilmente perché sposato con una donna ariana (11). Sempre nel gennaio del 1944, anche gli ebrei libici sudditi britannici internati a Camugnano vennero trasferiti nelle carceri di San Giovanni in Monte (12).  Altri vennero invece arrestati grazie allo zelo di rappresentanti locali del Partito fascista repubblicano, come nel caso dei coniugi Hanau, rintracciati dal locale reggente del fascio (13).

Le difficili condizioni di vita in tempo di guerra, ma soprattutto anni di privazioni causate dalla politica razziale del regime, che limitavano le possibilità di provvedere al sostentamento del proprio nucleo familiare, portò non pochi ebrei a considerare la detenzione in campo di concentramento come un male minore: «alle ore 21 di ieri, si sono presentati spontaneamente in questa caserma i sottonotati individui di razza israilita, provenienti dal Comune di Zocca, ove erano sfollati, dichiarando che desideravano regolare la loro posizione razziale perché vivevano in uno stato miserando ed impossibile per la loro esistenza» (14).

10. Comandante distaccamento di Madonna di Tirano della III Legione confinaria delle Camicie Nere “Vetta d'Italia” al Questore di Sondrio, 10 dicembre 1943, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

11. Comandante Stazione dei Carabinieri di Castiglione dei Pepoli al Questore, 5 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
12. Elenco del Commissario di Polizia di Stato per il Questore, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
13. Verbale di fermo del Comandante di distaccamento dei Carabinieri di Sasso Marconi, 2 marzo 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
14. Comandante di distaccamento dei Carabinieri di Savigno al Segretario Federale di Bologna, 14 maggio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 4 | L’anticamera della deportazione

Secondo le disposizioni diramate dal Ministero dell’interno, gli ebrei fermati dovevano essere inviati in campi di concentramento provinciali, per poi essere tradotti in campi nazionali appositamente attrezzati.

Nel dicembre del 1943 venne individuato, di concerto con le autorità germaniche, il campo per prigionieri di guerra PG 73, presso Fossoli di Carpi, come sede più adatta per il concentramento degli ebrei arrestati. Nella provincia di Bologna non venne attivato nessun campo: gli ebrei arrestati venivano portati nelle carceri di San Giovanni in Monte e da lì tradotti a Fossoli.

Tra i primi a subire questo trattamento furono i 33 ebrei sudditi inglesi internati a Camugnano, che il 10 gennaio 1944 furono «trasferiti al campo di concentramento di Carpi» (15).

Un caso anomalo riguardò Gino Guglielmi e la madre Elsa Zamorani, i quali, insieme ad altri quattro ebrei consegnati dal locale Comando delle SS, vennero tradotti a Ravenna a seguito di «intesa verbale avuto col detto Comando» (16). I prigionieri in seguito furono trasferiti al carcere di San Vittore e deportati da Milano il 30 gennaio 1944 con destinazione Auschwitz.

A partire dal mese di marzo le autorità tedesche gestirono direttamente una parte del campo di concentramento di Fossoli, il cosiddetto Campo nuovo, che divenne Campo di polizia e di transito (Polizei und Durchgangslager), inserito nel sistema concentrazionario nazista. Quasi la metà degli ebrei deportati dall’Italia partì dal campo di Fossoli, che rimase attivo fino ai primi di agosto del 1944.

Nella primavera del ‘44, quindi, gli ebrei arrestati a Bologna vennero inviati a Fossoli sia su richiesta dei tedeschi (17), sia su iniziativa delle autorità italiane (18). Per certificare l’avvenuto internamento il direttore del campo rilasciava un’apposita ricevuta (19).

15. Il Questore al Comandante della SD di Bologna, 10 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
16. Il Questore di Bologna al Questore di Ravenna, 22 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
17. Comandante della SD di Bologna al Questore, 28 aprile 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
18. Questore al Direttore del Campo di Concentramento di Fossoli, 26 maggio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
19. Ricevuta del Direttore del Campo di Concentramento di Fossoli, 26 maggio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei

Vetrina 5 | Gli ebrei misti di fronte alla deportazione

Uno dei punti su cui le disposizioni italiane e quelle tedesche si discostavano in tema di persecuzione razziale era il trattamento da riservare ai cosiddetti ebrei misti. Secondo le autorità italiane, infatti, gli ebrei misti dovevano essere sottoposti a misure di vigilanza, ma non dovevano essere internati in campi di concentramento.

In più di un’occasione le autorità tedesche chiesero alle istituzioni della RSI di provvedere all’arresto anche degli ebrei misti non riconoscendo la distinzione effettuata dalla normativa italiana. Nel caos degli ultimi venti mesi della guerra, gli ebrei misti subirono alterne vicende.

I fratelli Cottignoli, arrestati a Villa di Tirano il 10 dicembre 1943 e trasferiti a Bologna nel carcere di San Giovanni in Monte nei giorni successivi, vennero liberati dalle carceri il 21 gennaio 1944 (20), a seguito di un’istanza di scarcerazione presentata dal loro avvocato Teocrito Di Giorgio. In una successiva richiesta dello stesso avvocato, presentata per ottenere la restituzione dei beni sequestrati al momento dell’arresto, Di Giorgio sottolineò: «La Questura di Bologna ha riconosciuto che essi sono ariani e ne ha ordinato la scarcerazione» (21).

Diverso il caso di Ermanno Jacchia, sposato con una donna ariana. Jacchia venne arrestato il 6 novembre 1943 presumibilmente dai tedeschi e rinchiuso nelle carceri di Castelfranco Emilia. Nel febbraio 1944 venne trasferito al Compo di concentramento di Fossoli su richiesta del Comando della polizia di sicurezza tedesca di Bologna (22). Il questore di Bologna Tebaldi, sollecitato da alcuni fascisti locali (23), richiese la scarcerazione di Jacchia: «essendo coniugato con l’ariana Cigolini Maria, a norma delle vigenti disposizioni italiane, non dovrebbe essere sottoposto ad internamento ma rilasciato in libertà» (24). Nonostante l’interessamento del questore, Jacchia venne deportato ad Auschwitz da Verona il 2 agosto 1944 da dove non fece più ritorno.

20. Fonogramma del Questore alla Compagnia di Carabinieri Interna, 21 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
21. Istanza dell'Avv. Teocrito Di Giorgio, 28 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
22. Comandante della SD di Bologna al Questore, 28 aprile 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
23. Giuseppe Ambrosi al Questore, 7 marzo 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei 24. Il Questore al Comandante della SD di bologna, 10 marzo 1944, Questura di Bologna, Ufficio