Sezione 4 | L’EBREO INVISIBILE
Vetrina 1 | Le premesse
A partire dal 1936 il governo, attraverso il controllo delle testate giornalistiche e la presenza di studiosi fascisti nei luoghi cardine della produzione ideologica, come le accademie e le università, aveva avviato una cauta e sotterranea campagna razzista, ritenendo che l’opinione pubblica avesse bisogno di tempo per essere indirizzata verso un sentimento antiebraico e fieramente italico. Anche quando, nel febbraio del ‘38, per la prima volta ruppe ufficialmente lo strategico silenzio in merito a quello che di lì a poco Mussolini avrebbe definito “il problema ebraico”, lo fece con un retorica sapientemente ambigua.
Un testo, uscito sull’«Informazione diplomatica» di quel mese, fu poi inviato a tutti i giornali affinché fosse pubblicato «su una colonna, in prima pagina, senza commenti», come da indicazioni del Ministero per la cultura popolare. Il testo avvertiva che «il Governo fascista non ha mai pensato né pensa di adottare misure politiche, economiche, morali contrarie agli ebrei in quanto tali, eccettuato beninteso nel caso in cui si tratti di elementi ostili al Regime … Il Governo fascista si riserva tuttavia di vigilare sull’attività degli ebrei … e di far sì che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e alla importanza numerica della loro comunità».
Ma ben diverso fu il tenore dell’«Informazione diplomatica» quando in agosto scrisse che «discriminare non significa perseguitare. Questo va detto ai troppi ebrei d’Italia e di altri paesi, i quali ebrei lanciano al cielo inutili lamentazioni, passando con la nota rapidità dalla invadenza e dalla superbia all’abbattimento e al panico insensato … il Governo fascista non ha alcun piano persecutorio contro gli ebrei in quanto tali. Si tratta di altro. Gli ebrei in Italia nel territorio metropolitano sono 44.000, secondo i dati statistici ebraici, che dovranno però essere confermati da un prossimo speciale censimento; la proporzione sarebbe quindi di un ebreo ogni mille abitanti. E’ chiaro che, d’ora innanzi, la partecipazione degli ebrei alla vita globale dello Stato dovrà essere, e sarà, adeguata a tale rapporto».
Da qui in avanti il regime iniziò la tragica persecuzione che, attraverso una sovrabbondante e capillare normativa, mirò a isolare, zittire, mortificare ogni ebreo italiano, sino a renderlo “invisibile”.
Vetrina 2 | Le privazioni
Nell’«Informazione diplomatica» del 5 agosto Mussolini dichiarò che occorreva che gli italiani, intesi come italiani di razza italiana, manifestassero «un forte sentimento, un forte orgoglio, una chiara onnipresente coscienza di razza». Il primo a dare il “buon” esempio fu proprio il governo, che promulgò una sequela di leggi e decreti atti a difendere la razza italica dall’insidia di ogni altra razza extraeuropea, prima fra tutte quella ebrea, che nel tempo aveva occupato posti di rilievo nella società nazionale.
Nell’idea che gli italiani non dovessero essere sottoposti a nessun altra razza estranea, quindi nemica, in nessun ambito e che non dovessero intrattenervi nessun rapporto di familiarità, foriero di inammissibili contaminazioni, il 17 novembre 1938 fu emanato il decreto legge n. 1728, che con i sui 29 articoli diede inizio all’isolamento degli ebrei. Affinché si vigilasse efficacemente sull’osservanza dei provvedimenti, presso le questure furono istituiti appositi uffici col compito di controllare la condotta degli ebrei e vagliare preliminarmente le richieste di deroghe, raccogliendo opportune informazioni.
Così a Bologna l’Ufficio ebrei sorvegliò che quanto stabilito all’articolo 12 del sopracitato decreto fosse rispettato, ossia che «gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana». Non era infatti inusuale che molti eludessero «il divieto assumendo al proprio servizio persone ariane e facendole figurare come incaricate di prestazioni diverse da quelle che sono proprie dei domestici» (1), come ad esempio segretarie e dattilografe o, per il personale maschile, come impiegati generici e infermieri (2).
Allo stesso modo il questore dovette esaminare numerose domande inoltrate da ebrei discriminati che chiedevano gli fosse concesso di trattenere il proprio personale domestico ariano a motivo di necessità fisiche causate infermità (3), verificando che i certificati allegati non fossero finti o prodotti da medici compiacenti (4).
Sempre per ragioni di salute, all’Ufficio ebrei pervennero le istanze di deroga al divieto, stabilito il 9 giugno del ’43, per gli appartenenti alla razza ebraica di «trasferirsi e soggiornare … nelle località marine o di villeggiatura di lusso» (5-6).
1. Il ministro dell’interno al prefetto e al questore, 02 dicembre 1938, Prefettura, Gabinetto
2. Il ministro dell’interno al prefetto, 08 novembre 1942, Prefettura, Gabinetto
3. Ada Calabi al Ministero degli interni, 13 febbraio 1939, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
4. Il prefetto al presidente dell’Unione professionisti e artigiani, 01 febbraio 1939, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
5. Arturo Carpi al questore, 19 luglio 1941, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
6. Il capo della Polizia al questore, 09 giugno 1943, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
Vetrina 3 | Le privazioni
Molte furono le circolari e le direttive che mirarono a limitare il commercio degli ebrei, soprattutto quello ambulante: il provvedimento colpì un gran numero di piccoli commercianti, privandoli all’improvviso di ogni possibilità di sostentamento (7).
Ancora più articolata e dettagliata la normativa che riguardava le professioni e che entrò in vigore nel giugno del ’39 con la legge n. 1054. Furono date le disposizioni per i cittadini appartenenti alla razza ebraica che esercitavano le professioni «di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale», prevedendosi la cancellazione dai normali albi e l’iscrizione a degli elenchi speciali o a degli elenchi aggiunti, qualora si fosse trattato di ebrei discriminati. Assolutamente preclusa era invece la professione di notaio, mentre quella di giornalista poteva essere esercitata solo previa concessione di discriminazione. I professionisti iscritti agli elenchi speciali avrebbero potuto esercitare la professione «esclusivamente a favore di persone appartenenti alla razza ebraica, salvi i casi di comprovata urgenza e necessità».
Ma oltre alle richieste di iscrizione agli elenchi speciali (9), al questore arrivarono anche lettere anonime di quanti, italiani ariani, ritennero loro dovere segnalare quei trasgressori che con ardimento, temerarietà e scaltrezza si infischiavano altamente delle leggi fasciste (8, 10).
Fu invece a seguito degli effetti del decreto legge n. 1390 che il 14 ottobre 1938 il professore Alessandro Ghigi, rettore dell’Università, firmò undici lettere tutte uguali con cui, senza alcuna formula di cortesia, comunicava ad altrettanti docenti dell’ateneo bolognese, che «In seguito alle disposizioni a Voi già note, ... con la data del 16 corrente dovrete sospendere la Vostra attività presso questa Università. Vi ringrazio per l’opera scientifica e didattica svolta in questo Ateneo e Vi porgo il mio saluto». Comunicazioni analoghe arrivarono a tutti i docenti del Paese (11-12).
7. Lettera anonima al questore, 24 gennaio 1939, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
8. Angelo Soliani al questore, 01 marzo 1940, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
9. Lettera anonima al prefetto, 07 maggio 1940, Prefettura, Gabinetto
10. Notizia estratta dal «Il Resto del Carlino», 13 ottobre 1938, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
11. Il questore di Parma al questore di Bologna, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
12. Il ministro ai prefetti, 24 novembre 1941, Prefettura, Gabinetto
Vetrina 4 | L’isolamento
Considerati alla stregua di nemici o comunque d’individui di cui diffidare, il regime fascista non tralasciò di privare gli ebrei del principale strumento di comunicazione dell’epoca: la radio. Sequestrare gli apparecchi radio in possesso degli ebrei significò privarli non solo della possibilità di conoscere ciò che stava accadendo ma, in maniera più estensiva, della possibilità di esercitare la libertà di pensiero e di resistenza politica attraverso la conoscenza (13-14).
Per lo stesso motivo fu stabilito che «gli ebrei, oltre che dalle sale di lettura [delle biblioteche], si intendono esclusi anche dai cataloghi, dal prestito e da informazioni bibliografiche» (15).
Dopo averlo reso così sordo e cieco, il regime volle zittire il “nemico ebreo” togliendogli anche la voce: con la circolare n. 2251 del 20 giugno 1941 dispose «l’eliminazione dei nominativi ebraici e delle ditte ebraiche dagli elenchi telefonici e da altre pubblicazioni analoghe» (16) mentre con la legge del 19 aprile 1942 ordinò l’«esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo» .
Venne quindi vietata la «rappresentazione, l’esecuzione, la proiezione pubblica e la registrazione su dischi fonografici di qualsiasi opera alla quale concorrano o abbiano concorso autori od esecutori italiani, stranieri od apolidi appartenenti alla razza ebraica» e di «utilizzare in qualsiasi modo per la produzione dei film, soggetti, sceneggiature, opere letterarie, drammatiche, musicali, scientifiche ed artistiche, e qualsiasi altro contributo, di cui siano autori persone appartenenti alla razza ebraica». Il pensiero, il sapere, la visione, la cultura della razza ebrea non dovevano entrare in contatto con quelli della pura razza italiana e per evitare ogni possibile contaminazione anche nelle attività ludiche e di svago fu altresì proibito che «gli attori di qualunque rango, i registi, le comparse, i componenti di orchestra, il corpo di ballo e chiunque altro eserciti comunque la sua attività nel campo teatrale» esplicassero qualsiasi attività nel settore dello spettacolo (17).
Gli ebrei furono così costretti in un ghetto non più cintato da mura ma da divieti e privazioni, separati dal consorzio civile. Una volta resi invisibili nella presenza, nessuno (forse) si sarebbe accorto della loro assenza: poteva aver inizio la deportazione.
13. Modulo per il sequestro degli apparecchi radio, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
14. Il prefetto ai podestà e commissari prefettizi, Prefettura di Bologna, Gabinetto
15. Elenco dei nominativi di razza ebraica da togliere dagli elenchi telefonici, [1941], Questura di Bologna, Ufficio ebrei
16. Il Ministro dell’interno ai prefetti, 18 giugno 1940, Prefettura di Bologna, Gabinetto
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