Sezione 5 | LA SPOLIAZIONE
Vetrina 1 | Da indesiderati a nemici
Fu dopo il 25 luglio 1943, sotto l’occupazione tedesca e la Repubblica sociale italiana, che la persecuzione dei diritti degli ebrei divenne un’indiscriminata persecuzione delle vite degli ebrei.
Fino ad allora si era cercato di isolare i cittadini ebrei e di rendere il più possibile difficile il loro sostentamento, così da indurli a lasciare l’Italia. A questo scopo rispondevano le consistenti limitazioni patrimoniali e i tanti divieti e soprusi: agli ebrei erano stati vietati, tra l’altro, la fabbricazione e la detenzione d’armi, il conseguimento del brevetto di pilota civile, l’iscrizione a sodalizi per la protezione di animali, il possesso di apparecchi radio, la partecipazione alle aste, la titolarità di agenzie di viaggi e turismo, di affari e di pubblicità, di amministrare stabili, di lavorare come guide, interpreti, corrieri, custodi e portieri; fu proibito perfino di giocare a tennis con ariani.
Ma, dal 1943, l’antisemitismo della neonata RSI assunse i caratteri di una guerra contro una “razza nemica” e, dal punto di vista patrimoniale, quelli di una vera e propria spoliazione. L’offensiva della RSI contro la popolazione ebraica prese avvio il 30 novembre 1943, con un’ordinanza del ministro dell’interno, che prescriveva l’internamento degli ebrei in campo di concentramento e il sequestro di tutti i loro beni. Il 2 dicembre 1943 il Capo della Provincia di Bologna, con un proprio decreto, rese operativo sul territorio bolognese il provvedimento del ministro (1). Circa un mese dopo entrò in vigore il decreto legislativo n. 2, del 4 gennaio 1944, che ordinava la confisca a favore dello Stato di tutti i beni mobili e immobili, di qualsiasi natura, appartenenti a persone di razza ebraica, senza più distinzioni fra italiani e stranieri, fra discriminati e non (2). Poche settimane più tardi, in virtù di queste stesse norme, il ministro dell’interno disponeva anche lo scioglimento delle comunità israelitiche e il sequestro delle loro proprietà (3).
La confisca veniva eseguita con decreto del Capo della Provincia e i beni sequestrati venivano trasferiti all’EGELI, l’Ente di gestione e liquidazione immobiliare creato nel 1939, che era incaricato della loro custodia, amministrazione e vendita. Per tutte le questioni patrimoniali relative agli ebrei, fu creato presso la Prefettura un apposito Ufficio asportazione beni ebraici, che fungeva da braccio operativo del Capo della Provincia di Bologna per la concreta esecuzione delle confische.
1. Comunicato stampa del Capo della Provincia di Bologna, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
2. Copia del decreto legislativo n. 2 del 4 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
3. Copia di telegramma del ministro dell’interno, 31 gennaio 1944, Questura di Bologna, Ufficio ebrei
Vetrina 2 | Opere “di interesse particolarmente importante”
Il divieto per gli ebrei di possedere beni di qualsiasi specie, senza alcuna eccezione per il loro valore o per le loro caratteristiche, comprendeva anche le opere d’arte e già all’inizio di dicembre 1943, circa un mese prima dell’emanazione del decreto per la confisca dei beni ebraici, la Direzione generale delle arti presso il Ministero dell’educazione nazionale si preoccupò di dare disposizioni in materia (4), precisando che per opere d’arte dovevano intendersi «non solo le opere d’arte figurativa (pittura, scultura, incisione, ecc.), ma anche le opere d’arte applicata, quando, per il loro pregio, non possano essere considerate oggetti di uso comune».
Gli ebrei proprietari di beni artistici avevano l’obbligo di denunciare alla Soprintendenza alle gallerie le opere possedute, con una loro sintetica descrizione, che doveva indicare anche l’autore, quando possibile, e il luogo in cui erano conservate. I beni confiscati passavano allo Stato e della loro custodia venivano incaricate le soprintendenze alle gallerie, se si trattava di opere d’arte, mentre degli oggetti di interesse archeologico o bibliografico si occupavano rispettivamente le soprintendenze alle antichità o quelle bibliografiche.
In realtà, per effetto di queste disposizioni, la Soprintendenza alle gallerie di Bologna (5) ricevette una sola denuncia, relativa alla collezione di proprietà della famiglia Modiano, che la conservava nella propria residenza in via S. Stefano. La raccolta era costituita da «un complesso di pitture assai notevoli, e per alcuni pezzi di interesse particolarmente importante. Basterà citare un bozzetto del Tiepolo, un ritratto d’ammiraglio attribuito al Tintoretto, un soffitto smontabile attribuito a Lorenzo Lotto». Il bombardamento del 29 gennaio ’44 danneggiò gravemente casa Modiano, ma risparmiò le opere, che la famiglia aveva messo al riparo nei sotterranei quando aveva deciso di lasciare Bologna e l’Italia. Il pericolo corso indusse comunque la Soprintendenza a trasferire la collezione «in un appartamento della villa Ferrari, in via dell’Osservanza n. 34, di proprietà di congiunti dei Modiano. Ora non trovandosi più in Italia nessun membro della famiglia Modiano», occorreva nominare un consegnatario delle opere, confiscate e divenute di proprietà dello Stato. La scelta cadde su Mario Pollacci, «uomo di casa Modiano» e fu a lui che, nell’aprile 1944, la Soprintendenza notificò l’interesse particolarmente importante di 41 delle opere della collezione (6).
4. Circolare del Ministero dell’educazione nazionale, 1° dicembre 1943, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
5. La Soprintendenza alle gallerie ed agli oggetti d’arte medievale e moderna al Capo della Provincia, 3 marzo 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
5. La Soprintendenza alle gallerie ed agli oggetti d’arte medievale e moderna al Capo della Provincia, 3 marzo 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
6. La Soprintendenza alle gallerie ed agli oggetti d’arte medievale e moderna a Mario Pollacci, 15 aprile 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
Vetrina 3 | Sequestro, confisca, vendita
Grazie al commercio, settore in cui da sempre la minoranza ebraica occupava un ruolo preponderante, la famiglia Pesaro aveva raggiunto una invidiabile condizione sociale ed economica. Raffaello era proprietario insieme al fratello Giorgio, poi venuto a mancare, di un negozio per la «vendita di giocattoli e articoli di chincaglieria», che aveva la sua sede storica in via Manzoni 2.
Il 1° settembre 1944, il Capo della Provincia di Bologna, Nino Fantozzi, emise il decreto di confisca dell’azienda, compilato su un modulo prestampato in cui era riportata la motivazione del provvedimento: «è di razza ebraica» (7). In realtà, la Prefettura aveva già emesso in precedenza una semplice ordinanza di sequestro, con cui, senza intaccarne formalmente la proprietà, aveva privato Raffaello e gli eredi di Giorgio della disponibilità della loro azienda commerciale, che era passata in gestione alla Prefettura stessa. Era questa una scorciatoia procedurale che veniva adottata molto frequentemente: l’operazione veniva poi perfezionata in un secondo tempo, con il definitivo provvedimento di confisca a favore dello Stato, che diventava così proprietario dei beni. Grazie a questo modo di procedere, già nel mese di agosto la Prefettura aveva potuto autorizzare la Federazione bolognese del Partito fascista repubblicano «a porre in vendita tutto il materiale sequestrato alla Ditta ebraica “G.R. F.lli Pesaro”» (8).
Nel frattempo però il negozio venne più volte razziato e danneggiato, triste consuetudine di quei giorni, finché la poca merce che vi era rimasta fu trasportata «per la vendita al negozio Wernicoff, Pavaglione 1.D», un negozio di abbigliamento, anch’esso di proprietà di ebrei e quindi confiscato. Della merce da vendere fu redatto un inventario, che elencava in maggioranza giocattoli, ma non mancavano «presepi completi … portaritratti … squadrette … righe … cartelle per scuola … portasigarette … carta cellofan». Accanto a ogni articolo erano riportati i prezzi «per la vendita al dettaglio … stabiliti dal tecnico sig. Rossi, con negozio di chincaglieria in via d’Azeglio». L’agente di pubblica sicurezza che aveva compilato l’inventario segnalava inoltre, ad evitare ogni responsabilità, che «nel frattempo che si effettuava il trasporto … sopraggiunsero dei militari tedeschi ove caricarono due automezzi grandi di merce pagando solamente la somma di £ 15.000» e annotava infine di suo pugno che «le bambole miste sono rotte e buona parte deteriorate, come anche i giocattoli» (9).
7. Decreto del Capo della Provincia di Bologna per la confisca del negozio di proprietà dei fratelli Pesaro, 1° settembre 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
8. Il Capo della Provincia di Bologna alla Federazione bolognese del Partito fascista repubblicano, 5 agosto 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
9. Inventario della merce reperita nel negozio dei fratelli Pesaro e messa in vendita, 25 novembre 1944, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
Vetrina 4 | “Rapine, ruberie e danneggiamenti”
La perdita del negozio di via Manzoni, oltre alla confisca dell’appartamento di famiglia e dei crediti bancari, ridusse Raffaello Pesaro in condizioni economiche assai precarie, tanto che dopo la liberazione, nel giugno 1945, si rivolse al prefetto perché dichiarasse «che a seguito degli enormi danni subiti in conseguenza delle persecuzioni e rapine nazi-fasciste, che lo hanno ridotto all’indigenza, non ha al presente la possibilità di fronteggiare al soddisfacimento dell’imposta straordinaria sul reddito» (10).
D’altra parte, al prefetto si era già rivolto in precedenza (11), esponendo una lunga lista di sventure, soprusi e ruberie ai suoi danni, iniziata con lo sfollamento a Pianoro, nel luglio del ’43 e con l’abbandono del «proprio grandioso emporio … contenente un enorme quantitativo della merce … nonché la ricca e pregiata attrezzattura dei locali dell’emporio, il tutto del valore complessivo di circa 20 milioni … Iniziatasi successivamente la persecuzione razziale a seguito dell’infame decreto di legge Mussolini n. 2, in data 4 gennaio 1944, la merce … fu esposta e formò oggetto di rapine, ruberie e danneggiamenti, da parte di fascisti, brigate nere, tedeschi e di altri ladri di ogni specie. Essendo detto emporio confinante con lo stabile della famigerata federazione fascista repubblicana … componenti delle brigate nere … entravano nei locali della Ditta, asportando in più riprese rilevante quantitativo di merce, altra danneggiando e disperdendo». A parere di Pesaro, fu per questi motivi che l’allora Capo della Provincia «si vide costretto per tacitare lo scandalo a disporre che fosse posta in vendita il residuo della merce … Successivamente dette brigate nere, a coprire le proprie malefatte divenute ormai di pubblica ragione, pensavano bene di appiccare il fuoco al negozio, in due riprese … Procedutasi infine a mezzo di personale incompetente … alla vendita della merce residua … ne fu ricavata l’irrisoria somma di £ 125.000». La lunga lettera si concludeva con la preghiera di «voler disporre le indagini del caso per il rintraccio e restituzione a me della merce stessa».
Non c’è traccia dell’esito di questa accorata richiesta, ma nel maggio ’46 il prefetto dichiarò formalmente all’Intendenza di finanza che «per asportazioni e danneggiamenti ad opera di nazifascisti, detta Ditta rimase inattiva dal 1943 al 1945, essendone stata sottratta quasi tutta la merce e distrutti – anche con incendio – l’attrezzatura, gli scaffali ed i banchi di vendita» (12).
10. Raffaello Pesaro al prefetto, 26 giugno 1945, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
11. Raffaello Pesaro al prefetto, 19 maggio 1945, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
12. Il prefetto all’Intendenza di finanza, 27 maggio 1946, Prefettura di Bologna, Ufficio asportazione beni ebraici
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