Sezione 4 | Zanardi e i socialisti bolognesi alla fine della guerra

Vetrina 20 | La vigilia dell’armistizio

A capo della Prefettura dal 16 agosto 1914, Vincenzo Quaranta (1) si era sempre mostrato un funzionario energico: durante le vertenze di Molinella – scoppiate lo stesso anno del suo arrivo in città – era stato uno strenuo alleato degli agrari nella lotta contro le leghe, e in tempo di guerra aveva guidato la provincia con abilità e pragmatismo. Dinanzi alla notizia della domanda di pace avanzata dagli imperi centrali, e nell’imminenza della cessazione delle ostilità, si affrettò a indirizzare al Ministero un rapporto sullo stato dell’ordine e dello spirito pubblico a Bologna.

Nella sua relazione osservava come durante il conflitto, e specialmente dopo la disfatta di Caporetto, il Partito socialista non avesse inscenato scioperi o dimostrazioni, e come i suoi dirigenti si fossero manifestati disponibili ad assecondare le direttive dell’Autorità pubblica e ad appianare tranquillamente molte divergenze e richieste.

Con la fine della guerra, Quaranta paventava tuttavia un cambiamento radicale della situazione di relativa calma vissuta nella provincia negli ultimi quattro anni: da un lato il ritorno dei soldati reduci dal fronte, necessitanti un impiego nella vita civile, dall’altro le «ingenti falangi di donne» che si sarebbero venute a trovare prive del lavoro nel quale avevano sostituito gli uomini, avrebbero generato una crisi della quale si sarebbero giovati i partiti sovversivi.

Come nel 1914, così anche nel 1918 per il prefetto il rimedio sarebbe stato comunque semplice, dato che la questione veniva da questi considerata esclusivamente sotto il profilo economico e non politico: Quaranta auspicava così che le masse impegnate nella produzione bellica venissero subito occupate nell’industria di pace e nell’agricoltura, o indirizzate verso l’emigrazione, in modo che il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace avvenisse senza rotture o soluzioni di continuità. A Bologna, in particolare, cantieri come la bonifica renana e la costruzione della direttissima per Firenze avrebbero potuto assorbire un ingente numero di operai, sottraendo così al Partito socialista il suo principale strumento di agitazione (2).

Le paure del prefetto sulle conseguenze della fine del conflitto non erano infondate e gli stessi ministeri della Guerra e dell’Interno, alla vigilia della pubblicazione dell’armistizio, avevano disposto da un lato il rafforzamento delle misure per il mantenimento dell’ordine, se necessario anche attraverso l’impiego delle forze armate, dall’altro avevano invitato i prefetti a preparare l’opinione pubblica e la stampa locale al fine di evitare incertezze e «commozioni» e di non guastare così il clima di giubilo e di serenità necessario ad accogliere la notizia della vittoria (3).

1. Il prefetto Vicenzo Quaranta
2. Relazione del prefetto al Ministero dell’interno, 20 ottobre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Il presidente del Consiglio dei ministri ai prefetti, 2 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 21 | Il giorno della vittoria

Il 4 novembre 1918 alle ore 19 il comandante del Corpo d’armata di Bologna, tenente generale Luigi Segato (1), pubblicò il manifesto con il quale annunciava ai cittadini di Bologna la firma dell’armistizio da parte dell’Austria-Ungheria. Perché l’esultanza per la storica giornata fosse piena, concedette che per il giorno successivo in tutti gli stabilimenti dipendenti o controllati dalle forze armate (la maggioranza a Bologna, territorio dichiarato zona di guerra fin dal 1915) ci si astenesse dal lavoro (2).

Le manifestazioni di piazza tuttavia ebbero inizio già nel tardo pomeriggio dello stesso 4 novembre. A partire dalle 18 un corteo formato da studenti aveva attraversato la città sostando davanti ai monumenti a Garibaldi e al Popolano, mentre gli operai avevano cominciato a radunarsi sempre più numerosi in piazza Maggiore.

Appena la notizia dell’armistizio si diffuse a Bologna la folla cominciò a concentrarsi davanti al Palazzo comunale, parato e illuminato a festa per l’occasione. Alle 21 il sindaco Francesco Zanardi s’affacciò al balcone del municipio per parlare agli operai. Nel suo discorso Zanardi rivendicò i diritti del proletariato che negli anni di guerra non si era sottratto ai gravosi doveri imposti dalle esigenze belliche: «Noi oggi diciamo ai borghesi che il conto è aperto e l’ora del premio è giunta». E al grido di «Viva l’Italia proletaria» aveva comunicato l’astensione dal lavoro per il giorno successivo (3). Nella stessa sera un imponente corteo preceduto dalle bande musicali militari aveva inoltre attraversato via Indipendenza e si era sciolto intorno alle 23.

Le proteste suscitate dal discorso “antipatriottico” pronunciato da Zanardi nel giorno della vittoria, unite al timore di scontri tra le opposte fazioni, spinsero il comandante del Corpo d’armata di Bologna a pubblicare la mattina del 5 novembre un nuovo manifesto per proibire ogni assembramento e ogni dimostrazione. Il generale Segato aveva inoltre disposto che affluisse a Bologna quanta più truppa possibile per presidiare i punti più delicati della città e per occuparne le porte al fine di impedire l’ingresso della massa dalla campagna. Aveva inoltre preso accordi con il Comitato cittadino “Pro Patria” presieduto dal medico Luigi Silvagni perché dispiegasse tutta la sua influenza politica per contrastare gli intenti del Partito socialista. Arrestare i capi delle organizzazioni sovversive era infine considerato dal militare «il più sicuro mezzo per evitare guai» (4).

1. Il generale Luigi Segato
2. Manifesto del comandante del Corpo d’armata di Bologna, 4 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Il questore al prefetto, 7 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
4. Il comandante del Corpo d’armata di Bologna al prefetto, 5 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 22 | Le manifestazioni di piazza

Le misure prese dalle autorità militari e politiche non servirono comunque a evitare che dalla mattina del 5 novembre Bologna divenisse il teatro di una sequela di manifestazioni di segno opposto, le cui file erano alimentate da operai socialisti da un lato e da ex militari e studenti interventisti dall’altro.

A dare inizio alle dimostrazioni era stato un nutrito gruppo di donne che alle 8 in via Falegnami si era radunato per protestare contro i dipendenti di una fabbrica di indumenti militari che non si erano astenuti dal lavoro. Alle 9 trecento operai con bandiere bianche e rosse avevano tentato di inscenare una manifestazione in piazza Maggiore, ma erano stati subito dispersi dalla forza pubblica. Ne erano nati incidenti e colluttazioni nei quali si era trovato coinvolto lo stesso Zanardi, presente nella piazza insieme all’onorevole socialista Genuzio Bentini. A detta di alcuni testimoni, il sindaco, invitato a parlare alla folla per impedire «eccessi più vergognosi [...] pregato ed esortato a lanciare un grido di conciliazione e ad esprimere i suoi sentimenti di cittadino italiano, dicendo ad alta voce e facendo ripetere dagli altri “Viva l’Italia”, con evidente esitazione nell’espressione del suo sguardo, ed abbassando ad arte il tono della voce, ha finito per dire “Viva l’Italia sì, ma operaia”» (1).

Oltre che nella piazza e nelle vie adiacenti, molti operai si erano radunati nella sede della Camera del lavoro in via Cavaliera (oggi via Oberdan), dove il sindaco nella tarda mattina aveva parlato a oltre un migliaio di persone assiepate nel cortile. All’uscita dall’edificio le dimostrazioni erano poi sfociate in proteste e scontri con la forza pubblica e molti furono gli arresti per disfattismo, violenza e resistenza. Al grido «Abbasso l’Italia, viva l’Austria» e «Viva la pace, viva il socialismo» i manifestanti si erano infine nuovamente diretti verso piazza Maggiore dove ancora una volta la truppa dovette procedere allo sgombero forzato.

Le esternazioni e il contegno del sindaco sollevarono le proteste di chi lo accusava di aver promosso una dimostrazione sovversiva «in giorno sacro di esultanza patriottica», e durante l’imponente manifestazione organizzata nel pomeriggio in piazza VIII Agosto dall’Associazione dei mutilati se ne chiesero a gran voce le dimissioni. Primo firmatario dell’appello fu l’allora repubblicano ed ex combattente Pietro Nenni, direttore del «Giornale del Mattino» di Bologna (2-3).

1. Deposizione di Amedeo Fidora, 5 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Pietro Nenni
3. Pietro Nenni e altri al presidente del Consiglio dei ministri, 6 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 23 | Un nuovo attore sulla scena politica del dopoguerra

I giorni immediatamente seguenti la firma dell’armistizio e la fine della guerra videro dunque Bologna attraversata da opposte tensioni, coi diversi partiti e movimenti schierati su differenti posizioni.

È sempre il prefetto Quaranta a descrivere in maniera alquanto vivida la situazione venutasi a creare in città a seguito degli avvenimenti del 4 e 5 novembre: «Questi hanno rotto molte fila con la subitaneità improvvisa degli eventi, hanno sorpreso gruppi e fazioni, hanno portato turbamento a molte coscienze». Nel suo rapporto al ministro dell’Interno delineava poi il frastagliato quadro politico: i repubblicani, con poco seguito ma sempre tesi a inasprire gli animi e a suscitare discordie, che avevano nel «Giornale del Mattino» diretto da Pietro Nenni il loro ideale punto di riferimento; i democratico-radicali, demagoghi in grado di solleticare le masse con vaghe promesse, raccolti intorno al Comitato “Pro Patria” presieduto da Luigi Silvagni; i socialisti, divisi tra riformisti (la minoranza) e ufficiali (la maggioranza), forti e ben organizzati, guidati dal carismatico sindaco Francesco Zanardi; i liberali, restii a interessarsi dei disagi della popolazione e legati alla grande industria; i cattolici, animati da sentimenti patriottici ma infidi perché ambigui (1).

In quella scena, che seppur complessa e agitata vedeva muoversi attori noti, il prefetto segnalava il sorgere di un elemento nuovo, che avrebbe di lì a qualche anno sconvolto fatalmente gli equilibri tradizionali.

In un’altra relazione al Ministero dell’interno e al Comando di corpo d’armata, Quaranta illustrò difatti l’azione svolta dagli ex combattenti e dai mutilati (2): le loro formazioni andavano «assumendo sempre più carattere di associazione politica in quanto intervengono attivamente e quasi capeggiano manifestazioni che concernono la vita amministrativa locale, prendendo parte a espressioni di volontà collettiva che trascendono dalle pure dimostrazioni di patriottismo, per giungere ad intervenire positivamente nella gara dei partiti che mirano a più precise questioni di politica amministrativa».

Fatti avvezzi dalla guerra al dinamismo e alla spregiudicatezza, avevano introdotto le automobili nei loro spostamenti e l’uso delle armi negli scontri di piazza, non facendo segreto dell’intenzione «di volersi impossessare ad ogni costo del Municipio» con l’ausilio di «arditi armati di bombe a mano e deliberati ad ogni eccesso» (3).

1. Il prefetto al ministro dell’Interno, 12 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Mutilati ed ex combattenti a Molinella, in MUSEO CENTRALE DEL RISORGIMENTO ITALIANO, Onoranze al milite ignoto. Celebrazioni e funzioni
3. Il prefetto al comandante del Corpo d’armata di Bologna e al ministro dell’Interno, 7 novembre 1918, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 24 | La classe dirigente socialista nel dopoguerra

Sostegno dell’amministrazione comunale guidata da Zanardi, il Partito socialista e la sua classe dirigente erano invece ancora fortemente legati agli strumenti tradizionali della lotta operaia che si sarebbero purtroppo rivelati vani contro le azioni ostili condotte da arditi, squadristi e fascisti. Tra i socialisti più influenti spiccavano le personalità di Alberto Giovannelli, Augusto Franchi e Alfeo Giaccaglia.

Alberto Giovannelli, tipografo capo spedizioniere al «Resto del Carlino» fin dalla fondazione del giornale, alle elezioni amministrative del giugno 1914 era stato eletto consigliere comunale rivestendo anche la carica di vice-assessore allo stato civile e dal 1916 era presidente delle assemblee della Società operaia. Controllato dalla polizia fin dal 1900, non aveva tuttavia destato particolari attenzioni fino al marzo 1918 quando era stato eletto segretario dell’Alleanza socialista di Bologna.

In quello stesso anno era risultato il destinatario di una lettera indirizzatagli dal sergente Amilcare Gamberini; nella missiva, intercettata dalla censura, il militare al fronte si sfogava così apertamente: «Qui dovrebbero venire quelli entusiasmati che volevano la guerra e poi alla sua volta si ritirano e si nascondono per la paura» (1). La Questura dispose così la compilazione della scheda biografica per Giovanelli (2), che negli anni del fascismo fu sottoposto a continui arresti, perquisizioni e diffide fino alla sua radiazione dal novero dei sovversivi nel 1940.

Augusto Franchi, controllato dalla polizia dal 1904 perché iscritto al Circolo gioventù socialista e segretario della Lega dei braccianti, alle elezioni del giugno 1914 era stato eletto consigliere comunale per il Psi; ne era seguita la compilazione della scheda biografica (3) e il rafforzamento della sorveglianza che proseguì anche durante il periodo fascista e nel secondo dopoguerra fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1961.

Alfeo Giaccaglia, controllato dalla polizia dal 1909 perché sospettato di essere l’autore della scritta regicida “Viva Bresci” sul basamento del monumento a Vittorio Emanuele in piazza Maggiore, era stato un assiduo frequentatore di gruppi giovanili anarchici e membro di circoli giovanili socialisti; per tale motivo nel 1911 ne era stata compilata la scheda biografica (4). Nel 1912 in occasione della guerra di Libia si era distinto per le sue posizioni antimilitariste e nel 1916 era stato tra i partecipanti a una manifestazione pacifista contro le posizioni radicali del «Giornale del Mattino». Divenuto una delle voci più influenti del socialismo bolognese, grazie anche ai numerosi articolati firmati sulla «Squilla», nel maggio 1918 ne era stato addirittura chiesto l’allontanamento dalla città. Nel successivo periodo fascista fu costantemente sorvegliato fino al 1936.

1. Amilcare Gamberini ad Alberto Giovanelli, 12 marzo 1918, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi
2. Scheda biografica di Alberto Giovanelli, 13 settembre 1918, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi
3. Scheda biografica di Augusto Franchi, 13 settembre 1918, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi
4. Scheda biografica e foto segnaletica di Alfeo Giaccaglia, 16 ottobre 1911, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi

Vetrina 25 | Francesco Zanardi nel novero dei sovversivi

Francesco Zanardi era nato a Poggio Rusco il 6 gennaio 1873 e all’età di 18 anni si era trasferito coi genitori a Bologna, dove aveva conseguito il diploma di chimico farmacista. Iscritto al Partito socialista, alle elezioni amministrative del luglio 1899 era stato eletto consigliere comunale del suo paese natale meritando così l’attenzione dell’autorità di pubblica sicurezza che ne aveva subito disposto la schedatura (1).

Secondo la polizia Zanardi sdegnava la propaganda attuata con conferenze e riunioni ritenendo «più proficuo avvezzare le masse alle teorie socialiste più coi fatti che con le parole», e per tale motivo sarebbe stato ancora più pericoloso.

Primo cittadino di Poggio Rusco e membro del Consiglio comunale bolognese dal 1902, consigliere provinciale a Mantova dal 1904, il 17 luglio 1914 era stato eletto sindaco di Bologna, carica che ricoprì fino al 20 ottobre 1919 quando si dimise in vista delle consultazioni politiche che lo videro eletto deputato prima per la 25a (1919-1921) e successivamente per la 26a (1921-1924) legislatura del Regno d’Italia.

L’onorevole Zanardi continuò tuttavia a rivestire importanti incarichi anche a Bologna, tra i quali quello di presidente dell’Ente autonomo dei consumi, istituzione che aveva fondato nel 1916.

Ripetutamente minacciato con lettere anonime (2-3) e fisicamente aggredito dai fascisti, i quali percossero a morte il figlio Libero, che morì il 9 giugno 1922, Zanardi si trasferì definitivamente a Roma nel 1923 esercitandovi l’attività di farmacista, sempre sottoposto alla stretta vigilanza dell’autorità di pubblica sicurezza. Nel 1937, dopo 14 anni di permanenza nella capitale, per motivi di salute rientrò a Bologna, ma poiché era ancora considerato un «sovversivo tenace, acido, insidioso e turbolento», dall’influenza «nefasta e pericolosa» (4), nel 1938 fu confinato prima a Cava dei Tirreni e poi a Sant’Antonio Mantovano. Nel settembre 1939 fu prosciolto condizionalmente dal confino, ma continuò a risiedere tra Porto Mantovano e Poggio Rusco.

Nel dopoguerra fu eletto all’Assemblea costituente e dal 18 aprile 1948 sedette in Parlamento come senatore a vita. Il controllo di polizia sull’ormai ultrasettantenne Zanardi non cessò tuttavia neanche nel periodo democratico tanto che l’ex sindaco di Bologna risultava ancora schedato tra i sovversivi al momento della morte avvenuta il 18 ottobre 1954.

1. Scheda biografica e foto segnaletica di Francesco Zanardi, 9 luglio 1899, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi
2-3. Lettere anonime indirizzate a Francesco Zanardi, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi
4. Il prefetto al Ministero dell’interno, 21 gennaio 1938, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi