Sezione 1 | viva la guerra! abbasso la guerra!

Vetrina 1 | Per la pace o per la guerra
All’inizio del 1915, in tutta Italia divampava la polemica fra quanti ritenevano che il paese dovesse mantenersi neutrale e quanti invece sostenevano che dovesse intervenire nel conflitto che, dall’estate del 1914, opponeva Francia e Inghilterra da una parte a Germania e Austria-Ungheria dall’altra.

Il governo italiano aveva ufficialmente proclamato la neutralità del Paese, ma nulla era ancora definitivamente deciso e, anche se la classe politica era spaccata fra neutralisti e interventisti, la partecipazione attiva al conflitto appariva più che probabile. La stessa profonda divisione attraversava l’opinione pubblica: tutta la nazione era percorsa da un clima carico di tensioni e viveva giornate difficili, segnate da disordini e incidenti.

Anche Bologna fu teatro di aspri contrasti, accentuati dal fatto che la città era governata in quegli anni da una amministrazione comunale e da un sindaco, Francesco Zanardi, entrambi socialisti e neutralisti, e per questo oggetto di pesanti critiche della parte avversa, con accuse di antipatriottismo e frequenti atti di violenza.

Nel febbraio del 1915 le dimostrazioni a favore o contro la guerra si susseguivano. Il 21 di quel mese, i socialisti neutralisti organizzarono una manifestazione contro la guerra, che si concluse, peraltro senza incidenti di rilievo, con una protesta davanti alla sede del «Giornale del Mattino», decisamente interventista, protesta durante la quale fu simbolicamente bruciata una copia del quotidiano (1). Gli interventisti non osarono disturbare la manifestazione, ma si limitarono per il momento ad aggressioni a piccoli gruppi isolati di socialisti, mentre decisero di tenere, il 23 febbraio, a Palazzo dei Notai, una manifestazione a favore dell’intervento, in risposta a quella neutralista di due giorni prima. I neutralisti però, occupando la sala con un certo anticipo sull’orario, riuscirono a far fallire l’iniziativa. Nei gravi scontri che ne seguirono (2) gli interventisti ebbero la peggio, ma, decisi a vendicarsi, moltiplicarono le iniziative a sostegno della guerra e le violenze. Il 26 febbraio, degli studenti reduci da un’assemblea di interventisti, malmenarono in strada tre assessori comunali socialisti: eppure per la Questura (3) la manifestazione studentesca non era andata oltre i toni accesi e le violenze verbali.

1. Il questore al prefetto, 21 febbraio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il questore al prefetto, 24 febbraio 1915, ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Il questore al prefetto, 27 febbraio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 2 | Inchiostri della diplomazia… sangue degli eserciti

Sia il neutralismo che l’interventismo erano movimenti trasversali e compositi rispetto ai diversi schieramenti che animavano la scena politica italiana e all’interno di entrambi coesistevano molte anime, disomogenee e accomunate unicamente dal “no” o dal “sì” alla guerra. Nucleo fondante e più attivo del movimento neutralista fu senz’altro il Partito socialista ufficiale, come veniva chiamato, che si schierò da subito contro l’intervento, anche se non mancarono al suo interno voci discordi.

Tra gli iscritti dissenzienti spicca il nome di Benito Mussolini, a quell’epoca incaricato della direzione dell’«Avanti!», organo di stampa del Partito socialista. Convinto neutralista allo scoppio del conflitto europeo, egli divenne nel corso del 1914 fervente interventista, spingendo il giornale sulle sue stesse posizioni. Il contrasto con la linea politica socialista si dimostrò profondo e insanabile: Mussolini si dimise dalla direzione del quotidiano, che riprese quindi la sua campagna neutralista contro la guerra, e fu poi espulso dal Partito.

Nell’edizione del 20 febbraio 1915 l’«Avanti!» pubblicò in prima pagina la riproduzione di un volantino contro i fautori dell’intervento in guerra (1), che riportava tra virgolette una frase dai toni reboanti, pronunciata da Mussolini qualche giorno prima, sulla necessità di abbandonare la strada della diplomazia e di impugnare le armi: «Non è cogli inchiostri della diplomazia, ma col sangue degli eserciti, che si conquistano oggi per le terre e gli oceani i titoli di nobiltà e di grandezza dei popoli».

Il volantino, dai forti contenuti satirici, era stato stampato e diffuso a cura della Federazione socialista di Bologna, una delle più salde e compatte nel prendere posizione a favore della neutralità, della Camera del lavoro e del Sindacato dei lavoratori agricoli, sempre di Bologna, ed era in distribuzione già da qualche giorno. Ma altra cosa era la pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale, cosa che allarmò non poco la Questura (2) e la Prefettura, responsabili dell’ordine pubblico, per il serio timore che, in settimane tutt’altro che tranquille per la città, il testo potesse provocare la reazione degli interventisti e innescare una ancor più grave spirale di violenze.

1. «Avanti!», 20 febbraio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il questore al prefetto, 20 febbraio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 3 | Rumori di guerra

Sul finire dell’aprile 1915 le trattative diplomatiche tra Italia, Francia e Inghilterra stavano concludendosi e da Roma arrivavano in provincia segnali chiari circa la scelta interventista che il governo aveva maturato. Con una circolare del Ministero dell’interno indirizzata ai prefetti, il presidente del Consiglio Salandra avviò una sorta di inchiesta, nell’intento di sondare l’atteggiamento dell’opinione pubblica di fronte alla prospettiva del conflitto.

Al proposito, il questore di Bologna (1) riteneva che in città predominasse la contrarietà alla guerra, visti lo scarso seguito goduto dalla fazione interventista e, all’opposto, la generalizzata propensione alla neutralità sia delle «masse operaie urbane e rurali» che si rifanno al Partito socialista, «potentissimo per numero di seguaci e per la conquista fatta di quasi tutti i collegi politici, delle amministrazioni provinciali e di quelle municipali», sia della classe media, che «vedrebbe con scarso entusiasmo la guerra che la danneggerebbe nei suoi interessi», sia infine degli ambienti cattolici, ligi alla linea neutralista del loro partito.

Ma la relazione che due giorni dopo il prefetto Vincenzo Quaranta, convinto interventista, invia al Ministero dell’interno (2) è molto più cauta e si limita a tracciare un quadro generico dell’orientamento della cittadinanza, delle forze politiche e della stampa locali rispetto all’eventuale intervento nel conflitto. Non manca però di rilevare la disciplina dei ceti medio-alti, e dei movimenti politici che li rappresentano, e invece lo «spirito egoistico e l’istinto di conservazione» delle classi più modeste, che «non fanno che favorire quanto la propaganda neutrale del socialismo ufficiale cerca diffondere fra le masse». Egli confida comunque nel diffuso sentimento antitedesco della popolazione e tiene a sottolineare che non teme agitazioni e disordini per l’entrata in guerra dell’Italia, purché si adottino «quelle misure di prevenzione che la prudenza suggerisce e senza le quali l’opera delittuosa di pochi [...] potrebbe trascinare ad eccessi».

Sono dunque specialmente i sovversivi socialisti a preoccupare il prefetto, che dopo altri due giorni scrive ancora al Ministero dell’interno (3), insistendo sull’elevato rischio di disordini e di gravi incidenti fra interventisti e neutralisti, poiché l’Emilia è la terra della sedizione contro l’ordine costituito e Bologna ne è la punta più avanzata, «centro di varie organizzazioni sovversive nazionali e sede di agitatori violenti ed influenti».

1. Il questore al prefetto, 19 aprile 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il prefetto al Ministero dell’interno, 21 aprile 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Il prefetto al Ministero dell’interno, [23 aprile 1915], in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 4 | Le “radiose giornate” di maggio

Nel maggio 1915, in soli venti giorni, a partire dalla denuncia italiana della Triplice alleanza con Germania e Austria, avvenuta il 4 maggio, si giocò la partita politica che portò il Paese nel primo conflitto mondiale. Il presidente del Consiglio Salandra, a fine aprile, aveva legato il Paese a Francia e Inghilterra, stipulando un patto segreto che obbligava l’Italia a intervenire in guerra entro un mese dalla firma del patto stesso.
I neutralisti avevano però la maggioranza in Parlamento, circostanza che rendeva complicata la ratifica del patto, e quindi la sua esecuzione. Lo scoglio parlamentare fu superato grazie ad una imponente campagna intimidatoria contro i neutralisti, campagna che, spinta e sorretta da interessi economici e politici, da movimenti nazionalisti e da buona parte della élite intellettuale della nazione, sfociò in una serie di manifestazioni di piazza organizzate in quelle che la retorica nazionalista chiamò poi le “radiose giornate” di maggio.

A Bologna, la contrapposizione tra neutralisti e interventisti toccò il culmine verso metà mese. Gravi disordini si verificarono la sera del 12 maggio, in occasione di una dimostrazione di interventisti, confluiti in piazza del Nettuno al grido di «Viva la guerra. Abbasso i traditori». A pochi passi da lì, un gruppo di neutralisti rispose gridando «Abbasso la guerra» e intonando l’Inno dei lavoratori: fu la miccia che provocò gli scontri, protrattisi poi fino a notte inoltrata (1). Tre giorni dopo, il 15 maggio, una manifestazione neutralista per le vie del centro fu sedata dalla forza pubblica con estrema durezza e procedendo anche a numerosi arresti (2): i neutralisti non erano più avversari politici, ma erano ormai considerati pericolosi sovversivi.

Questi non furono che alcuni dei ripetuti episodi di violenza di quelle giornate dal clima incandescente, al punto che il prefetto si sentì in dovere di inviare a tutti i comuni un appello (3) in cui, con grande enfasi, nel nome dell’unica patria, richiamava le opposte fazioni e la popolazione tutta alla concordia e all’abbandono di ogni inutile violenza.

1. Il questore al prefetto, 14 maggio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il questore al prefetto, 16 maggio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Il prefetto alla popolazione, 15 maggio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 5 | Guerra!

La mobilitazione generale e i movimenti di truppe erano già iniziati da qualche giorno, quando, la sera del 23 maggio, si sparse in città la notizia che l’indomani l’Italia avrebbe formalmente dichiarato guerra all’Austria: crollarono così definitivamente le residue, debolissime illusioni di salvaguardare la pace.

Un folto gruppo di interventisti, circa 3.000 secondo la Questura (1), dopo aver percorso in corteo via Indipendenza manifestando rumorosamente il suo entusiasmo, giunse verso le 23 davanti a Palazzo d’Accursio e, tra urla e offese rivolte al sindaco e ai suoi collaboratori neutralisti, invocò l’immediata esposizione del tricolore, in segno di giubilo per il coinvolgimento attivo del Paese nella guerra. Gridando «Fuori la bandiera a palazzo», gli interventisti riuscirono infine a travolgere il cordone di forze dell’ordine che proteggeva il portone principale, peraltro senza troppa convinzione né fermezza, e poco dopo, sul terrazzo sovrastante l’ingresso, venne issata la bandiera italiana. In Municipio però, data anche l’ora tarda, non era presente alcun esponente dell’amministrazione cittadina e fu solo per questo che i danni si limitarono a qualche vetro rotto e fu almeno evitata la violenza contro le persone.

Il giorno successivo, 24 maggio, il prefetto scriveva al presidente del Consiglio (2) per chiedergli, adducendo «gravi ragioni di indole politica», di applicare alla provincia di Bologna lo «stato di guerra», il che avrebbe consegnato all’autorità militare i pieni poteri, anche civili, sul territorio. Il prefetto descrisse una situazione, dal suo punto di vista, assai fosca: Bologna come centro del movimento sovversivo, sede di organizzazioni operaie nazionali e completamente in mano al Partito socialista, il quale neanche a conflitto in corso avrebbe rinunciato alla sua propaganda contro la guerra e a fomentare l’odio di classe.

La richiesta del prefetto Quaranta ebbe un riscontro pressoché immediato e già il giorno seguente il regio decreto n. 758 dichiarava la provincia di Bologna in stato di guerra, sottoponendola al Comando del VI Corpo d’armata, il quale a sua volta il successivo 27 maggio provvedeva a regolamentare con un’ordinanza (3) l’organizzazione del territorio.

Da quel momento, Bologna e la sua provincia furono di fatto consegnate ad una sorta di dittatura militare, con la radicale limitazione, e addirittura con la soppressione, di alcuni diritti e libertà fondamentali e con l’estensione alla popolazione civile del codice penale dell’esercito.

1. Il questore al prefetto, 24 maggio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il prefetto al presidente del Consiglio dei ministri, 24 maggio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Ordinanza del Comando del corpo d’armata di Bologna, 27 maggio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 6 | “Imboscati” a Palazzo d’Accursio?

Gli anni della guerra videro i comuni italiani afflitti da una grave crisi economica e finanziaria e alle prese con problemi di vitale importanza: l’organizzazione produttiva, il controllo dei prezzi, il contenimento delle spinte speculative, il razionamento dei viveri. L’amministrazione socialista di Bologna, con l’obiettivo dichiarato di «resistere, rimanere in piedi», si adoperò per la parte più debole della popolazione, garantendo ad esempio, attraverso i negozi e il panificio comunali, l’acquisto di generi alimentari a prezzo equo. Ma furono proprio provvedimenti di questo tipo ad infiammare l’ostilità degli avversari politici e di quanti, commercianti, proprietari terrieri o di case, vedevano nella politica del Comune un attacco ai propri diritti e ne criticavano duramente l’operato.

Il fatto poi che diversi assessori e consiglieri comunali, grazie alla loro carica, fossero esonerati dal servizio militare, o comunque assegnati ad incarichi d’ufficio in città, non fece che alimentare il mai sopito astio degli interventisti e rinnovare le accuse di antipatriottismo.

In questo clima, nel maggio del 1917, il tenente generale comandante del Corpo d’armata di Bologna si rivolse al Ministero della guerra (1), protestando per l’esonero dagli obblighi militari di qualche esponente del Partito socialista, come il deputato Genuzio Bentini, e di alcuni amministratori comunali: esonero ottenuto – sottolineava il comandante – dietro parere favorevole del prefetto.

Il generale non dissimulava la sua indignazione per questi esoneri, che oltretutto vanificavano i suoi sforzi per cercare «di allontanare da Bologna tutti i militari sovversivi più noti e sui quali gravano sospetti di propaganda contro la guerra», come l’avvocato e assessore comunale Nino Bixio Scota, già da tempo schedato tra i sovversivi nel Casellario politico provinciale e sorvegliato dalla Questura (2).

La protesta del generale non ebbe seguito, anche perché il prefetto, interpellato in proposito, rispose, con navigata scaltrezza (3): «La maggior parte degli uffici pubblici sono in questa provincia coperti da socialisti, sì che socialisti erano quelli che avevano titolo ad un esonero» e d’altra parte «il mettere tali dirigenti del movimento sovversivo [...] in una posizione di favore li mette in luce peggiore di fronte alle masse, che constatano come ai sacrifici degli umili non corrisponda quello di coloro che, se predicano contro la guerra, in realtà non subiscono il danno che in ben tenue misura».

1. Il comandante del Corpo d’armata di Bologna al Ministero della guerra, 22 maggio 1917, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il commissario della Sezione di mezzogiorno della Questura di Bologna al questore, 17 agosto 1914, in ASBO, Questura di Bologna, Gabinetto, Sovversivi
3. Il prefetto di Bologna al direttore generale della pubblica sicurezza, 18 giugno 1917, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto