Sezione 3 | passa la guerra

Vetrina 14 | Sopra i cieli di Bologna

Il 24 maggio 1915, dopo lunghe trattative segrete e dopo aver fatto posizionare migliaia di fanti nelle anguste trincee scavate fra le rocce carsiche e le rive dell’Isonzo, l’Italia rompe gli indugi e palesa l’alleanza con la Francia e l’Inghilterra: la nazione entra ufficialmente nella Grande guerra.

Le sue città tuttavia sembrano quasi non accorgersene: lontana fisicamente e culturalmente, la borghesia cittadina per buona parte del conflitto vivrà una sorta di paradossale estraneità agli orrori delle battaglie.

Così non sarà per i bolognesi che, per sollecitudine del prefetto, Vincenzo Quaranta, dal 25 maggio 1915 vivranno invece in un «territorio dichiarato in stato di guerra» (1).

Nonostante la provincia di Bologna sia assai distante dal fronte, il prefetto ritiene difatti che la città e il suo territorio debbano essere sottoposti a stringenti norme di vigilanza elaborate da una commissione speciale appositamente istituita, nonché aderire alle direttive del Ministero della guerra per la protezione contro bombardamenti aerei (2).

La città è improvvisamente trasformata in presidio del Comando della difesa antiaerea: sulla via collinare detta “del Battivento” viene istituito un posto di difesa di artiglieria provvisto di due riflettori per ispezionare il cielo, mentre due posti di fanteria vengono organizzati rispettivamente a Villa Baruzzi, sul colle dell’Osservanza, e presso il Laboratorio pirotecnico, fra Porta Castiglione e Porta San Mamolo. Delle vedette si posizionano sulla torre degli Asinelli e un’altra sulla torretta della stazione ferroviaria principale. Altre postazioni di sorveglianza vengono dislocate in varie città della regione, le quali, allontanandosi da Bologna fin verso l’Adriatico, formano la seconda e la prima linea per l’avvistamento di velivoli nemici (3).

Non appena da un avamposto fosse stato avvistato un velivolo diretto alla volta di Bologna, immediatamente, tramite comunicazione telefonica, sarebbe stato allertato il centro di coordinamento bolognese: dato l’«allarme alla cittadinanza col suono a martello del campanone della torre del Podestà per tre volte consecutive», tutti avrebbero dovuto ritirarsi nelle proprie abitazioni, esclusi i plotoni di fanteria, che da terra avrebbero prontamente sparato verso l’alto ed abbattuto il velivolo.

I mesi trascorrono e sul cielo di Bologna passano solo le nuvole; eppure, per ulteriore scrupolo, al personale addetto alla difesa antiaerea vengono distribuite «sagome di velivoli e dirigibili» per esser certi che li sappiano riconoscere (4).

Queste misure non possono che mettere in luce l’ingenua percezione che l’Ufficio di difesa aerea locale ha di una guerra combattuta invece lontano e con ben altre armi e strategie.

1. Ordinanza del Comando del Corpo d’armata di Bologna, 16 febbraio 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Norme per la difesa antiaerea del presidio di Bologna, 30 gennaio 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Provvedimenti per la difesa contro aerei del presidio di Bologna, 31 marzo 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
4. Istruzione del personale addetto alla difesa aerea, 16 giugno 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 15 | Si spengano le luci

Fra le misure di sicurezza antiaerea, quella che avrà maggiori ripercussioni sul normale svolgersi delle attività cittadine è di certo quella inerente all’illuminazione: in caso di attacco aereo, la città sarebbe dovuta diventare invisibile al nemico attraverso il totale e repentino oscuramento. Bologna tuttavia utilizza ancora i lumi a gas, da spegnersi uno ad uno, quindi per non rallentare eccessivamente la procedura, in via precauzionale bisogna accenderne il minor numero possibile.

Così i bolognesi, come gli abitanti dei numerosi centri limitrofi, iniziano a vivere le loro serate in una invadente penombra che, trascorsi i mesi estivi, temono diventi sempre più lunga.

I commercianti osservano perplessi le loro vetrine al buio e più che pensare a come questo giovi alla sicurezza della città, pensano a come questo potrebbe compromettere la loro attività (1).

Chi deve rincasare dopo il lavoro è privato del servizio tramviario, ridotto e poi sospeso dalle 22. E spesso si tratta di donne, che dopo lunghi e inusuali turni di lavoro, adattati alle nuove esigenze belliche, «data l’assoluta mancanza di illuminazione per le vie non azzarda di rincasare a quell’ora a piedi» (2).

Anche il lavoro dei controllori sui tram è reso assai complicato dalle nuove norme: a causa del buio, imposto anche dentro le vetture, spesso non riescono a distinguere «il colore dei biglietti da distribuirsi nelle diverse zone», ma ancora peggio riscuotono «in dette ore delle monete fuori corso o falsificate» (3).

Infatti se il buio ostacola le consuete attività, agevola invece quelle illecite: i Regi carabinieri obiettano al prefetto che per quanto riguarda il piazzale della stazione di Bologna «non possono farsi ulteriori riduzioni senza incorrere in inconvenienti gravissimi», e provvedono da subito a intensificare i servizi di vigilanza per impedire che loschi personaggi quali «ladri, mendicanti, teppisti, ubriachi, prostitute vaganti e i loro sostenitori attentino alle proprietà cittadine ed insidino la pubblica tranquillità».

Il Corpo d’armata deve suo malgrado attendere alle esigenze di una città che, se pur in guerra, continua a vivere la sua normalità (4).

1. La Camera di commercio e industria di Bologna sulla pubblica illuminazione, 10 settembre 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Telegramma della Direzione superiore delle Poste e telegrafi, 3 giugno 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Reclamo delle Tramvie di Bologna circa le difficoltà per espletare il servizio, 19 luglio 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
4. Decreto del Comandante del Corpo d’armata di Bologna per la pubblica illuminazione, 12 ottobre 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 16 | Ognuno faccia la sua parte

Con l’adesione al conflitto, l’Italia, oltre a dover colmare il vuoto lavorativo lasciato dai numerosi uomini richiamati alle armi, deve anche radicare e potenziare nuovi settori industriali necessari per sostenere il suo esercito.

Per la prima volta i governi chiedono la collaborazione di tutti i civili, donne comprese: il fronte interno deve aiutare i suoi soldati in ogni modo possibile. Vengono impiantati diversi “stabilimenti di ausiliari”, di speciale interesse bellico, e nascono i comitati di preparazione e di azione civile per la guerra, allo scopo di «preparare, organizzare e coordinare tecnicamente tutte quelle attività cittadine idonee per provvedere in tempo alla continuazione della vita normale locale in caso di guerra». «Alcune attività saranno riservate particolarmente all’elemento femminile», prime fra tutte, oltre all’«assistenza e cura degli ammalti», la «raccolta e confezione di indumenti» (1).

Il Comando del Corpo d’armata di Bologna invia quindi al prefetto le norme esatte da doversi seguire per l’assegnazione delle commesse di indumenti militari ai vari comitati o istituzioni locali; il Comitato di azione civile, con sede al numero 1 di via Pignattari, provvederà a distribuire il tessuto ed il filato per confezionare quanto necessario (2).

Innumerevoli le richieste di lavoro che arrivano alle autorità e al Comitato, per quanto sia specificato che «indipendentemente da ogni considerazione di partiti politici [...] la distribuzione del lavoro venga limitata alle famiglie realmente bisognose» (2).

Ma se da un lato questo è un modo per aiutare le madri, le mogli e le figlie di quanti stanno servendo con onore la patria, dall’altro è pur vero che questi valorosi uomini hanno bisogno di un adeguato corredo, confezionato con scrupolo e rigore. Nulla può essere lasciato al caso o peggio all’approssimazione; viene quindi istituita una Commissione centrale per indumenti militari presso il Ministero della guerra, incaricata fra l’altro di diramare ai prefetti del Regno Modelli e norme di lavorazione per gli indumenti di lana e maglia: il Comando supremo intende così informare le «solerti e patriottiche Signore» che ogni capo diverso, per foggia o tipo, da quelli richiesti dalla Commissione, «costituirebbe un inutile imbarazzo» (3).

1. Programma-Statuto del Comitato bolognese di preparazione civile per il caso di guerra, 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Norme e disposizioni per le lavorazioni del vestiario e biancherie militari, 10 novembre 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Modelli e norme di lavorazione per gli indumenti di lana e maglia, 20 settembre 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 17 | Penelope moderna

In poco tempo si consolida il processo di sostituzione della manodopera maschile con quella femminile in tutti quei settori dell’economia che sono rimasti sguarniti, modificando quelle che fino ad allora erano state le regole della società civile. L’opinione pubblica parla di un mondo alla rovescia, dove la donna, che il periodico «La lettura» definisce “Penelope moderna”, ha preso il posto dell’uomo e, anziché attendere inerte il suo ritorno, facendo e disfacendo la tela, si rimbocca le maniche e produce. Questa similitudine è estremamente calzante per tutte quelle donne che si adoperano nell’industria dell’abbigliamento militare «per poter vivere, tanto per non vedere morire di fame la numerosa prole» (1).

Fondamentale è il ruolo delle “Dame visitatrici”, di estrazione aristocratica o borghese, che con la loro attività di volontariato si prendono carico morale delle donne che «si trovano in una squallida miseria» . A Bologna è la contessa Camilla Isolani che gestisce il Laboratorio dell’Azione civile, in via Centotrecento 4: a lei la Prefettura inoltra tutte le petizioni dei vari comitati che raccolgono le suppliche delle donne indigenti, ed è lei che interloquisce di continuo col prefetto per protestare quando il materiale promesso non arriva nei tempi stabiliti o per relazionare su quanto prodotto e sul numero ancora elevato di «operaie che non hanno lavoro» (2) nonostante le 5.000 già impiegate.

Infatti «in questo eccezionale periodo della vita nazionale, l’attività muliebre nel campo del lavoro manuale specialmente dedicato ai soldati è stata grandissima», ma, nonostante le direttive ministeriali sulle modalità di confezionamento siano puntuali, queste rimangono purtroppo spesso disattese e «una quantità di tali lavori ha dovuto essere scartata». Il Comitato centrale di assistenza per la guerra del Comune di Milano stabilisce allora di incentivare il proposito patriottico indicendo un «Concorso Nazionale a Premi di indumenti per soldati». La giuria, formata oltre che da «signore competenti», anche da «un tecnico, un medico e un artista» (3), dovrà premiare «i tipi migliori, sopra tutto nei riguardi dell’igiene, dell’economia e dell’estetica» perché diventino «tipi per così dire ufficiali, da imitare e diffondere».

D’altronde, «se anche la tanto auspicata pace vittoriosa venisse presto, noi avremmo pure sempre migliaia e migliaia di soldati sulle Alpi, per i quali sempre assiduamente lavoreranno le donne, pel piacere, pel bisogno, pel dovere di fare qualche cosa per loro, indipendentemente da quello che il Governo può». Per la “Penelope moderna” il tempo di abbandonare la tela è quindi ancora assai lontano.

1. Richiesta delle donne del comune di Lizzano Belvedere per ricevere un occupazione, 9 aprile 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Elenco delle operaie cui va distribuito il lavoro, redatto dal Laboratorio dell’Azione civile di Bologna, 2 maggio 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Programma del Concorso nazionale a premi di indumenti per soldati, 11 agosto 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 18 | La città non si ferma

L’Italia in guerra deve assolutamente conciliare le ragioni di Stato con le «necessità della vita sociale»: da un lato applicare ogni prudenza per proteggersi non solo dai nemici esterni, ma anche e soprattutto da quelli interni; dall’altro non ignorare le esigenze di milioni di civili che cercano una nuova normalità nella straordinarietà della guerra.

Intorno alla città ogni giorno si tengono numerosi mercati e fiere, dove tranquille famiglie si recano per comprare e vendere prodotti comuni quali «latte, uova, frutta, verdura»: occorrenza solo apparentemente innocua, ma che può nascondere delle insidie. Infatti, sebbene la provincia bolognese sia «piuttosto lontana dal luogo ove agisce l’esercito mobilitato», è necessario «vigilare sulla circolazione delle persone sospette», su quanti «per la professione incerta, per le idee politiche sovversive, per lo scarso patriottismo dimostrato, per le amicizie sospette o per altro si può temere si valgano della libertà di transito contrariamente agli interessi dello Stato» (1).

Nel cuore di Bologna, «e precisamente in piazza VIII agosto tutti gli anni nella stagione autunnale ed invernale, diversi forestieri chiedono l’autorizzazione per impiantare all’aperto giostre a vapore, gabinetti ottici, serragli di animali feroci, tiri a segno, circoli equestri ed altri trattenimenti pubblici» (2). Si tratta di un’«antichissima consuetudine» che mal si concilia con le restrittive norme antiaeree, e oltretutto, in caso di incursione, la folla, distratta dagli spettacoli, difficilmente riconoscerebbe l’allarme dato dal lontano Palazzo del Podestà. Eppure il Comando del Corpo d’armata, riconoscendone il valore, reputa non sia «conveniente impedire, senza una vera necessità, gli spettacoli pubblici». Diversa l’opinione di alcuni solerti, e anonimi, abitanti che, alla vista di quei tendoni dalla «forma acuminata», non mancano di far presente al prefetto che «è veramente inspiegabile come [...] non si sia pensato a sgomberare la Piazza», dato che un simile agglomerato potrebbe essere facilmente scambiato per un accampamento militare, attirando i velivoli nemici (3).

Quegli stessi velivoli da cui bisogna proteggere gli operai che lavorano negli «stabilimenti meccanici per la fabbricazione di proiettili» e che vi «sono ammassati giorno e notte».

In pericolo sono anche i ragazzi, che vanno regolarmente a scuola, mentre i direttori ricevono istruzioni per «eliminare [...] qualsiasi spiacevole conseguenza alla scolaresca della città, nel caso che si rinnovino le prodezze dei lanzichenecchi e ritornino a calare gli unni e i vandali dell’aria».

Le ragioni della guerra non possono che venir prima di quelle della “normalità”.

1. Circolare del prefetto ai sindaci della provincia relativa alle norme di circolazione, 25 giugno 1915, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
2. Il questore al prefetto sugli spettacoli pubblici in piazza VIII agosto, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
3. Lettera anonima inviata al Comando del Corpo d’armata, febbraio 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto
4. Il provveditore al prefetto in merito all’applicazione delle norme antiaeree, 24 febbraio 1916, in ASBO, Prefettura di Bologna, Gabinetto

Vetrina 19 | La città cambia volto

All’inizio dell’estate del 1914, prima dell’attentato di Sarajevo, tutti i paesi europei sono attraversati da insistenti rumori di guerra, i cui echi arrivano anche a Bologna. Così quando in autunno, oltre i confini, il conflitto è oramai acceso, la Croce rossa ha già provveduto all’allestimento di «un certo numero di ospedali di riserva; ma, nelle attuali guerre, l’affluenza dei feriti e degli ammalati è tale, che occorre studiare la preparazione di altri stabilimenti, per occorrere al ricovero, ed alla cura dei numerosi individui, che vengono sgomberati dal teatro delle operazioni». È necessario «mettere a profitto i sentimenti patriottici delle autorità civili, e dei cittadini» affinché vengano messi a disposizioni locali e forze volontarie. Ma la città, agitata da sentimenti e spiriti discordanti, non sempre risponde secondo le attese.

Illustri cittadini, come i fratelli Nigrisoli, offrono alla Croce rossa sia le loro abitazioni private, sia l’attrezzata clinica di via Malgrado, oltre a prestare servizio medico volontario (1). Le Ferrovie dello Stato confermano che, quando se ne presenterà il bisogno, metteranno a disposizione un locale da adibire a posto di soccorso. Di contro un’importante istituzione, come l’Amministrazione degli ospedali di Bologna, nega il proprio supporto, lamentando anzi l’insufficienza dei locali a propria disposizione.

Scoppia la guerra e la città è ben pronta ad accogliere i suoi feriti. Dentro e fuori le mura, scuole, caserme, fabbriche e istituti vengono convertiti in guardie chirurgiche e posti di soccorso non solo per i militari ma anche «a ricovero e cura degli eventuali feriti civili [...] in caso d’incursioni aeree» (2). Il presidio allestito presso la stazione è di certo fra i più attivi, accogliendo migliaia di soldati ogni mese (3) e provvedendo al rifornimento dei treni ospedale in transito.

Questa intensa attività ospedaliera necessita ancora una volta del supporto e del sostegno delle bolognesi: siano esse “Signore visitatrici”, siano infermiere volontarie, mosse dall’identità degli scopi e dall’amore esclusivo del bene, si spendono tutte senza riserve nell’opera di beneficenza, dimostrando al Paese «quanto possa la donna quando ama e quando vuole». Parimenti le bimbe vengono «preparate ad essere brave donnine di casa facendo [...] una vera benedizione abbondante di cose», mentre i maschietti raccolgono «a centinaia i bastoni dei nonni destinati a sorreggere i giovani mutilati di guerra» (4).

La guerra si combatte a centinaia di chilometri di distanza, eppure la città cambia volto. Si adopera per difendere i propri cieli, spegnendosi nella notte; adatta i suoi spazi urbani e sociali per soccorrere la nazione ferita; incoraggia uomini e donne a dare il proprio contributo.

Passa la guerra anche a Bologna.

1. Il presidente del Comitato regionale della Croce rossa al presidente dell’Associazione circa la clinica Nigrisoli, 7 dicembre 1914, in ASBO, Croce rossa italiana, Lettere riservate
2. Elenco delle guardie chirurgiche e dei posti di soccorso, 24 maggio 1918, in ASBO, Croce rossa italiana, Carteggio
3. Relazione mensile del posto di soccorso presso la stazione ferroviaria, 8 aprile 1917, in ASBO, Croce rossa italiana, Lettere riservate
4. Relazione sul lavoro delle visitatrici degli ospedali militari, 20 febbraio 1918, in ASBO, Croce rossa italiana, Atti non protocollati