1. Il comune e le insegne degli uffici

Nella prima metà del Duecento, l’espansione economica delle città e il consolidamento dell’istituzione comunale ampliarono l’accesso al governo cittadino, allargando la partecipazione ai consigli comunali al ceto popolare, grazie alla condivisione di principi che regolavano l’accesso alla prassi politica di governo. Tali spazi di partecipazione consentirono l’allargamento della base sociale degli eletti nei consigli comunali, non più ristretta ai nobili.

Il sistema di governo popolare favorì un sistema documentario con una spiccata coscienza archivistica, allorché furono istituzionalizzate nuove procedure amministrative in grado di conservare nell’Archivio comunale le scritture in registro ordinatamente prodotte in serie negli uffici comunali. Nel corso del Duecento i comuni italiani affidarono il regimen civitatum a due nuove figure di rettori forestieri, provvisti di un seguito di giusdicenti, milites e berrovieri che rappresentarono tra le novità istituzionali e burocratico-procedurali più rilevanti nel favorire la cosiddetta “rivoluzione documentaria”.
I notai comunali mostrarono competenze grafiche assai superiori a quelle dei colleghi del XII secolo, poiché erano in grado di impaginare, decorare, disegnare e governare quei dispositivi che facilitano la lettura del registro, come indici, glosse, note marginali, caratteri e colori distinti, numerazione di paragrafi, cartulazione dei fogli: elementi che costituirono la grammatica della leggibilità dei registri comunali. Quegli ufficiali del Comune favorirono lo sviluppo di sistemi avanzati di archiviazione che introdussero la decorazione ufficiale delle copertine, facilitando la sedimentazione e l’accesso ai registri, grazie ad un sistema che poteva valersi di mnemotecniche, favorite da segnali, disegni e immagini.

Il sistema di segnatura archivistica adottato a Bologna, come in altri archivi comunali, produsse in alcuni casi decorazioni d’apparato, come quelle adottate presso l’ufficio dell’Orso o l’ufficio dell’Elefante, cioè l’ufficio dei Procuratori del Comune (n. 1), cui era stata associata l’immagine del pachiderma. Sulla coperta di un registro del 1314, sono affiancati agli uffici comunali gli animali che per qualche motivo vi vengono associati: «Verres, bos, aquila, leo, cervus, equus, quoque griffo hiis sub picturis panduntur acumina juris. Dalfinusque, drago condempnans crimina punire banitosque lupus tonat ursus: “solvite fischo”. Procurat grandis ellephans comunia queque».

Il sistema più diffuso di segnatura archivistica adottato per i registri era fondato sul triplice principio, di provenienza, cronologico e di titolarità della magistratura, stante l’ordine scandito dai mandati degli ufficiali forestieri, i cui registri erano contrassegnati con il titolo, l’indicazione del titolare della magistratura.
A fornirci una descrizione del registro, supporto su cui sono stati fermati gli emblemi dei magistrati, le insegne degli uffici, lo scudetto dell’istituzione comunale, le targhe che nel capo potevano richiamare la sega (o orofiamma del partito bentivolesco) è il notaio Nicolaus de Monteclaro nel 1295, vergandola su una delle coperte del Liber securitatum da lui redatto. Il notaio descrive in maniera dettagliata il supporto scrittorio su cui vengono registrati gli atti pubblici, nei mesi in cui eseguì l’incarico affidatogli dal capitano del popolo di Bologna, Matteo Griffi di Brescia.
Tale descrizione individua in modo efficace e preciso il rapporto tra soggetto produttore e registro, ed evidenzia come le coperte arricchite di simboli parlanti riferiti al magistrato o all’ufficio comunale di pertinenza siano elementi peculiari della produzione documentaria medievale. I manufatti scelti nel percorso espositivo raccontano la presenza delle insegne nobiliari di podestà e capitani del popolo responsabili in città della magistratura affidatagli dal Comune (nn. 2, 3, 4), o l’emblema che ricorda l’ufficio di provenienza del registro, sia esso un ufficio a carattere amministrativo fiscale, come l’Ufficio dell’Orso (n. 5), o quello daziario del vino (n. 6), o del Monte dei cumoli (nn. 7-8), che esemplifica anche il passaggio della rappresentazione dall’esterno della coperta dei registri comunali alla prima pagina di apertura, uso che proseguirà in Età moderna. Si coglie infine, attraverso immagini di trombe con drappi spiegati ed evocazioni araldiche dei gigli fiorentini (nn. 9, 10, 12) la lenta configurazione dello stemma comunale tra l’ultimo quarto del Trecento e il Cinquecento.