3. Personaggi e vicende dell’eterodossia nella Bologna del Cinquecento
Fra il terzo e il quinto decennio del Cinquecento, caratterizzati dall’alternarsi sulla cattedra vescovile di esponenti della famiglia Campeggi, si registrano anche a Bologna i primi effetti del movimento di riforma religiosa avviata in Germania da Lutero. La diffusione e la pericolosità delle nuove dottrine erano accentuate dalla posizione geografica della città e dalla presenza al suo interno di una antichissima università, aperta a studenti europei di ogni provenienza. Una viva attenzione verso la nuova sensibilità religiosa si manifestava anche negli ambienti degli ordini conventuali, in particolare quelli agostiniani. Insegnamento universitario e predicazione, cui si affiancava una attività editoriale all’epoca già molto vivace a Bologna, erano dunque veicoli efficaci e pericolosi nella diffusione di quelle idee.
Il primo intervento repressivo nei confronti di fenomeni di eterodossia si registrò nel 1538, quando vennero bruciate in Piazza Maggiore cataste di libri ereticali (nn. 18-19). Questi interventi erano stati affidati fino ad allora all’autorità temporale del cardinale legato e a quella spirituale del vicario diocesano, talvolta con l’appoggio diretto del pontefice, in quegli anni Paolo III. A partire dal 1542, la repressione si rafforzò anche in città a seguito dell’istituzione della Inquisizione Romana,
affidata a Bologna al frate domenicano Leandro Alberti.
Verso la fine del 1538 si registra a Bologna la presenza di Camillo Renato (alias Lisia Fileno), figura importante nella diffusione delle idee riformate in Italia; il Fileno entrò in contatto con l’élite culturale cittadina, già sensibile a quelle tematiche anche grazie alla lettura delle opere di Erasmo da Rotterdam. Di quel gruppo, personaggio-chiave era Achille Bocchi, professore di lettere greche e di retorica all’università cittadina; intorno a lui si sviluppò una sorta di “circolo filosofico e letterario”, di cui facevano parte Ulisse Aldrovandi, professore di Filosofia naturale, Girolamo dal Pino, canonico di S. Petronio, e, per un certo periodo lo stesso Leandro Alberti.
Per alcuni anni, nei confronti di questi ambienti elitari, seppure a volte impegnati in dibattiti al limite dell’ortodossia, non si attuarono particolari misure repressive. L’atteggiamento delle autorità mutò decisamente verso il 1543, quando il numero degli eretici a Bologna venne definito da Rodolfo Campeggi “una legione di luterani” (n. 21), che comprendeva per la maggior parte esponenti dei ceti popolari. Incarcerati dal governatore, molti di loro recuperarono la libertà dopo la solenne abiura pubblica del 16 maggio 1543.
Per quanto non organica, né particolarmente strutturata in senso dottrinale, come del resto accadeva anche altrove, l’eterodossia religiosa continuò a diffondersi in città, con manifestazioni di vario livello e con la divulgazione di libri “sospetti”. Di fronte a questa situazione, nel 1549, l’inquisitore domenicano Girolamo Muzzarelli, primo ad essere nominato alla carica dalla Congregazione del S. Uffizio, si impegnò per dare un indirizzo unitario all’azione giudiziaria antiereticale, che fino ad allora l’inquisitore aveva condiviso con il vicario del vescovo e l’uditore del Torrone (autorità giudiziaria in materia penale). Anche a Bologna, che dal marzo 1547 ospitò, nel Palazzo Campeggi, ora Bevilacqua, alcune sedute del Concilio di Trento, la repressione si inasprì decisamente, giungendo a colpire il circolo ereticale di cui faceva parte Ulisse Aldrovandi, arrestato con altri quattro membri del gruppo e liberato dopo l’abiura del settembre 1549 (n. 25).
Di quel gruppo faceva parte anche il calzolaio modenese Bernardo Brascaglia, che però dopo l’abiura riprese la divulgazione di dottrine eterodosse, nel suo caso esplicitamente luterane, e pertanto fu condannato a morte come “relapso” nel 1567: era la prima condanna a morte eseguita a Bologna contro chi professava idee riformate (nn. 26-27).
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