2. Echi della riforma nella cultura bolognese del Cinquecento
La Riforma luterana modificò profondamente il contesto culturale, politico e sociale dell’Europa nella prima metà del XVI secolo e a Bologna coinvolse anche l’ambito dello Studio, suscitando nelle istituzioni del governo cittadino e della chiesa romana sospetti di eresia dottrinale, perlopiù circoscritti agli insegnamenti della Facoltà delle Arti. In particolare i sospetti circa questo tipo di eresia, cui dobbiamo attribuire il senso, indicato da Delio Cantimori, di ribellione ad “ogni forma di comunione ecclesiastica”, si concentrarono su tre prestigiosi maestri dello Studio: Pietro Pomponazzi (1462-1525), Girolamo Cardano (1501-1576) e Ulisse Aldrovandi (1522-1605), cui sono dedicati i documenti qui esposti, rispettivamente, ai nn. 8, 9 e 12.
Il nucleo centrale dell’insegnamento filosofico di Pomponazzi era costituito dall’assoluta autonomia di un pensiero sottratto all’autorità dogmatica della chiesa. Da questi presupposti scaturì il suo progetto, confluito nell’opera De naturaliam effectuum causis sive de Incantationibus, di rifondare l’interpretazione filosofica della natura, “la quale fa sue arti per tutto il mondo, non meno in terra che in cielo, e per essere intenta alla produzione delle razionali creature non si scorda le irrazionali, ma con eguale artificio genera noi e i bruti animali”.
I sospetti ereticali si tramutarono in vischiosi procedimenti inquisitoriali all’indirizzo del medico matematico e astrologo Girolamo Cardano, il quale fu arrestato nel 1570. Le imputazioni si fondavano sulla sua accertata frequentazione di ambienti protestanti e, sotto il profilo dottrinale, esse si estesero alle tesi sostenute dal Cardano nell’opera De rerum varietate intorno alla divinazione astrologica − che sperimentò nella redazione di un suo oroscopo sulla genitura di Lutero − e ai correlati paradigmi profetici.
Lo stesso Ulisse Aldrovandi fu arrestato a Bologna nel 1549 per sospetta eresia; s’ignorano i
capi d’accusa, mentre è documentato il suo successivo proscioglimento avvenuto a Roma nel 1571.
Docente di filosofia negli anni 1554-1556, Ulisse Aldrovandi incentrò i suoi studi naturalistici sui fossili, sulle piante e sugli animali, nonché sui volti più nascosti e oscuri della natura. Il metodo del suo approccio umanistico a questi molteplici enti, che precorse l’ordinamento tassonomico dei fenomeni naturali codificato da Linneo, s’incardinò sul paradigma della somiglianza che genera, fra quegli stessi enti, sia processi d’identificazione, sia dissomiglianze e alterità. Quest’ultima anomala morfologia affiorò nelle esplorazioni naturalistiche del maestro bolognese in margine ai fenomeni mostruosi disseminati nell’opera Monstruorum historia, dove i prodigi della natura configurano una sorta di antimondo che ci dischiude la fascinazione dell’immaginario. La celebrazione del prodigioso aveva d’altra parte un rilevante statuto simbolico già nelle figurazioni, intrise di presagi apocalittici, che costellavano i bestiari e i bassorilievi delle cattedrali romaniche.
Questi nuovi atteggiamenti culturali e religiosi non rimanevano circoscritti all’ambito universitario, ma pervadevano progressivamente tutta la società, in particolare gli ambienti ecclesiastici cittadini, soprattutto attraverso i canali dell’editoria e della circolazione libraria. Contro questo fenomeno il vicario vescovile emanò il 12 marzo 1524 uno specifico editto, che ingiungeva a chiunque possedesse “libros editos per Martinum Leuterium hereticum” di consegnarli al vescovo entro tre giorni, sotto pena di scomunica. Disposizione di lì a poco messa in pratica dai canonici di San Giovanni in Monte, come testimonia qui in mostra, al n. 10, l’elenco dei libri consegnati al vescovo, esaminati e successivamente restituiti ai canonici il 6 agosto 1524.
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