IV. GIOACCHINO NAPOLEONE PEPOLI TRA RESTAURAZIONE E SECONDO IMPERO

1. ACHILLE MURAT, IL PRIMOGENITO DEL RE GIOACCHINO

Gioacchino Napoleone Pepoli (1825-1881) reggeva su di sé, oltre che l’eredità materiale della più eminente famiglia senatoria bolognese, un ben più rilevante retaggio morale: esso era difatti l’unico figlio maschio del marchese Guido Taddeo e di Letizia Murat, nata quest’ultima dal
matrimonio tra Gioacchino, re di Napoli, e Carolina Bonaparte, sorella minore di Napoleone I, imperatore dei francesi. Da Gioacchino e Carolina, oltre Letizia, erano nati Achille, Luciano e Luisa [42].
Non è dunque difficile immaginare l’ambiente nel quale crebbe e si formò il giovane Pepoli, che del nonno e del prozio materni portava i nomi e venerava religiosamente il ricordo.
Durante la giovinezza furono soprattutto i Murat ad instillare in Gioacchino Napoleone il senso di appartenenza e di dedizione al clan e alla sua causa.
Prima ancora che un partito, i Murat costituivano tuttavia una famiglia unita da una sincera e reciproca affezione, sebbene i suoi membri fossero letteralmente dispersi per il mondo.

In particolare il primogenito Achille dopo lunghe traversie era approdato negli Stati Uniti, dove aveva intrapreso l’attività di coltivatore latifondista. In una lettera al giovane nipote esprimeva il piacere di trovarsi «in corrispondenza colla nuova generazione» e sottolineava con enfasi il vincolo che lo legava alla sorella: «Letizia è stata ed è sempre l’essere che ho il più amato ed amo il più» [43].
Ma le relazioni tra Gioacchino Napoleone e i Murat non erano limitate ai soli fratelli della madre: il suo archivio conserva difatti le numerose lettere indirizzategli da Maria Antonietta, cugina di Letizia perché figlia del fratello del re Gioacchino, Pierre.
Antonietta aveva sposato Carlo, principe di HohenzollernSigmaringen, ma il trasferimento nel sud-est della Germania non aveva smorzato in lei il trasporto verso Bologna e i parenti italiani: «Mes pensés sont continument dirigé vers votre belle partie d’Italie que j’ai appris à aimer» [44].
Dalla stima per Letizia e per il suo brillante salotto bolognese era probabilmente sorto in Antonietta il progetto del matrimonio tra la figlia Federica Guglielmina e il giovane Pepoli: i due cugini, che dovevano trovarsi in corrispondenza già dal 1839 («Frida est bien sensible à votre bonne amitié»), si sposarono a Sigmaringen il 5 dicembre 1844.

42. Ritratto di Carolina Bonaparte-Murat con i figli (stampa tratta dal quadro di François Gérard), in Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Raccolta Gozzadini, Cartoline e ritagli

43. Achille Murat a Gioacchino Napoleone Pepoli, Parigi, 26 febbraio 1841, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Principi, “Murat prin[cipe] Achille”

44. Maria Antonietta Murat a Gioacchino Napoleone Pepoli, Wurburg, 14 settembre 1839, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Principi, “Hohenzollern p[rincipes]sa Antonietta”

2. CARLO BONAPARTE, UN “FRANCESE” NELLA REPUBBLICA ROMANA

Ancora più gravida di conseguenze per la carriera politica di Gioacchino Napoleone e per le sorti di Bologna e dell’Italia intera fu la parentela del marchese Pepoli con i Bonaparte.
I fratelli della nonna Carolina – Giuseppe, Luigi e Girolamo – avevano difatti seduto sui troni d’Europa sotto l’alto patrocinio Napoleone I, mentre le sorelle Elisa e Paolina avevano rappresentato preziose pedine nella politica matrimoniale dell’imperatore dei francesi.
Particolarmente significativa è dunque la figura di Luciano Bonaparte, che, dopo essere stato protagonista del colpo di stato del 18 brumaio, era entrato in rottura col potente fratello ed era stato costretto a numerose peregrinazioni e all’esilio.
Il suo primogenito Carlo Luciano [45] fu un personaggio altrettanto eclettico: dopo aver passato la giovinezza al seguito del padre tra Roma e gli Stati Uniti, acquisì fama internazionale come ornitologo, e, rientrato in Italia sul finire degli anni Venti, si stabilì nella capitale pontificia, dove fu eletto nell’ala sinistra del Consiglio dei deputati, il nuovo organismo concesso dallo statuto di Pio IX.
Considerato da molti il mandante, o quanto meno l’ispiratore, dell’assassinio del presidente del Consiglio dei ministri Pellegrino Rossi, episodio che determinò la fuga del papa a Gaeta, Carlo Luciano fu eletto nell’Assemblea costituente degli stati romani, della quale fu vicepresidente, capo di sezioni e membro della commissione per la costituzione. Dalla sua corrispondenza col cugino Gioacchino Napoleone si coglie il clima carico di aspettative di quei mesi: «La Costituente per lo Stato sufficientemente proclamata dovrà presto mettesi in atto, come desiderate, onde la democrazia della vostra antica libertas spieghi efficacemente il suo giusto vigore per mezzo dell’universal suffragio» [46].

L’appoggio assicurato al pontefice dalla Francia guidata da Luigi Napoleone Bonaparte, cugino di Carlo Luciano, determinò la fine della Repubblica romana, che cadde non prima di aver rivolto un accorato appello alle truppe francesi inviate negli stati romani: «Republicains viendrez-vous mitrallier vos frères le Républicains?» [47].

45. Ritratto di Carlo Luciano Bonaparte, in Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Raccolta Gozzadini, Cartoline e ritagli

46. Carlo Luciano Bonaparte a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 23 dicembre 1848, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Principi, “Bonaparte (principe di Canino)”

47. “Indirizzo della Città di Roma alle truppe Francesi formanti le spedizione pei Stati Romani”, [Roma, 1849], in Archivio di Stato di Bologna, Stampe governative

3. LUCIANO MURAT, UN PRETENDENTE AL TRONO DI NAPOLI

Figura controversa e dibattuta è anche quella di Luciano Murat, zio materno di Gioacchino Napoleone Pepoli, fratello minore della madre Letizia [48].
Dopo aver trascorso l’infanzia tra l’Europa e gli Stati Uniti, alla morte di Achille divenne il capo del partito murattiano. Come tale cercò appoggi alla candidatura dei Murat per riavere la corona del Regno di Napoli, anche se dai più fu sempre considerato un uomo mediocre. Il cugino Luigi Napoleone Bonaparte, divenuto presidente della Repubblica francese, lo nominò ministro plenipotenziario francese a Torino nonché senatore, e lo fece eleggere gran maestro del Grande Oriente di Parigi.
Approfittando della posizione raggiunta in Francia dallo zio Luciano, il marchese Pepoli si rivolse a lui per essere introdotto alla carriera diplomatica come rappresentante del regno di Sardegna a Parigi, mandato che, sebbene per ovvi motivi mai formalmente conferito, fu dal giovane Gioacchino più volte ufficiosamente ricoperto [49].
Tra le varie missioni delegate a Pepoli dal governo sardo vi fu nel 1856 proprio quella di sostenere presso il sovrano francese l’ipotesi di sostituzione dei Murat, nella persona del principe Luciano, alla dinastia dei Borbone sul trono di Napoli, missione dall’esito infelice.
Fu probabilmente a seguito di quell’episodio che Pepoli cominciò a maturare il passaggio dal murattismo alla causa piemontese, l’unica evidentemente in grado di assicurare l’indipendenza delle Romagne, portandovi così il consenso di una grande casa e della parentela con l’imperatore.
Questo però gli costò i buoni rapporti col ramo materno e – ricorda Gioacchino Napoleone nelle sue memorie – «da quel giorno cominciò una lotta acerba fra il principe Murat ed il marchese Pepoli».
In una missiva al nipote, che rivestiva all’epoca l’incarico di ministro degli Esteri del Governo provvisorio delle Romagne, Luciano ribadì il proprio scetticismo verso il progetto unionista che lo avrebbe privato definitivamente della possibilità di rivendicare il regno meridionale: «Les unionistes, les Cavouriens n’espèrent que dans l’alliance anglaise; moi, je ne vois de salut pour l’Italie que dans l’alliance française» [50].

48. Ritratto di Luciano Murat, in Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Raccolta Gozzadini, Cartoline e ritagli

49. Gioacchino Napoleone Pepoli a Luciano Murat, Bologna, 11 gennaio 1852, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, “Minute di lettere diverse”

50. Luciano Murat a Gioacchino Napoleone Pepoli, Parigi, 14 settembre 1859, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Principi, “Murat prin[cipe] Luciano”

4. L’ASSEMBLEA DELLE ROMAGNE E LA FRANCIA DI NAPOLEONE III

Dopo il vittorioso ingresso di Vittorio Emanuele II e Napoleone III a Milano l’8 giugno 1859 e la caduta del governo pontificio a Bologna il 12 successivo, Pepoli era entrato a far parte della Giunta provvisoria di governo nominata dall’amministrazione municipale, incaricato della Sezione degli affari esteri. Istituito un Governo provvisorio delle Romagne ad opera del commissario straordinario Massimo D’Azeglio, Pepoli fu confermato ministro degli Affari esteri.
Lo stesso fece il governatore Leonetto Cipriani, succeduto al D’Azeglio.
L’archivio del Ministero degli esteri, trattenuto da Pepoli alla fine del mandato e rinvenuto tra le sue carte private, testimonia l’operosità e la dinamicità del nuovo organismo di governo nel corso della sua breve ma intensa esistenza (12 giugno - 8 dicembre 1859).
Uno dei più delicati fronti diplomatici aperti dalla politica estera romagnola fu quello di assicurare l’appoggio delle potenze europee alla causa dell’indipendenza e dell’unità. Il 23 ottobre una deputazione dell’Assemblea nazionale delle Romagne costituita da Astorre Hercolani, Tancredi Mosti e Carlo Bevilacqua, cui si unì anche Marco Minghetti, presentò difatti all’imperatore dei francesi Napoleone III «i voti di questi popoli, e le espressioni della gratitudine che nutrono i medesimi verso di lui per quanto ha generosamente operato a prò della Italia» [51].

Luigi Napoleone Bonaparte [52] era il terzogenito di Luigi, fratello di Carolina, e dunque cugino di Letizia, madre di Pepoli. Come imperatore dei francesi aveva sottoscritto con Cavour a Plombières gli accordi che avrebbero portato il Piemonte alla testa del processo di unificazione. Dal potente cugino Pepoli aveva inoltre ottenuto l’impegno a non intervenire a favore di una restaurazione del Governo pontificio nelle legazioni (condizione prevista dagli accordi preliminari dell’armistizio di Villafranca) a patto che si mantenessero l’ordine pubblico e la tranquillità.
Per rassicurare l’imperatore, il ministro Pepoli sottolineò nella nota diretta al sovrano la condotta disciplinata tenuta dai popoli romagnoli: «De tout temps, sire, l’action des peuples a été difficilement modérée: mais les populations des Romagnes ont voulu vous prouver par leur modérations»
[53]. Con l’assenso del Bonaparte poté così tenersi il plebiscito che tra l’11 e il 12 marzo 1860 sancì l’unione delle ex legazioni alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele.

51. Il ministro degli Affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne Gioacchino Napoleone Pepoli a Tancredi Mosti e Astorre Hercolani, Bologna, 22 ottobre 1859, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondi aggregati, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, Deputazioni dell’Assemblea nazionale delle Romagne presso Vittorio Emanuele II e Napoleone III

52. Ritratto di Napoleone III, in Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Raccolta Gozzadini, Ritratti

53. I deputati delle Romagne a Napoleone III, [Bologna, 23 ottobre 1859], in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondi aggregati, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, Deputazioni dell’Assemblea nazionale delle Romagne presso Vittorio Emanuele II e Napoleone III

5. LA CRISI DI ASPROMONTE

Fino al 1870, la questione romana rappresentò nei rapporti tra l’Italia e la Francia il principale motivo del contendere.
Subito dopo la giornata d’Aspromonte, quando il 29 agosto 1862 l’esercito italiano aveva fermato Garibaldi in marcia coi suoi volontari verso Roma, il marchese Pepoli – all’epoca ministro dell’Agricoltura del governo Rattazzi – aveva aderito alla proposta, incredibilmente audace, avanzata dal principe Napoleone Bonaparte, figlio di Girolamo e dunque cugino dell’imperatore e suo, di spingere sulla capitale pontificia una massa inerme di cittadini che forzassero la mano, questa volta pacificamente, al sovrano francese.
Scrisse così Pepoli al principe Napoleone: «Il ministero è deciso fermamente ad agire nel senso in cui le esposi […] Noi siamo persuasi che l’imperatore cederà; ma in ogni modo siamo decisi a slanciare su Roma mezzo milione d’italiani inermi. Prenderemo le misure necessarie, e vedrà che la cosa si compierà con dignità ed entusiasmo, e che scriveremo forse la più meravigliosa pagina della storia moderna» [54].

Pepoli si recò financo a Londra per spiegare le ragioni del progetto al primo ministro Palmerston, e poi a Parigi, dallo stesso Napoleone III [55], per indicargli la soluzione.
Così ricorda nelle sue memorie il colloquio avuto col sovrano francese: «Egli parlò all’imperatore con una fermezza e una indipendenza che non sarebbesi desiderata maggiore dagli uomini del partito radicale in Italia. “Se voi spingerete su Roma una folla compatta di popolo ordinerò alle mie truppe di far fuoco sopra di esso se tenteranno violare la indipendenza del pontefice”. “Non lo farete, sire – gli rispose il Pepoli – non imiterete mai l’imperatore di Russia facendo fuoco a Varsavia sugli inermi polacchi”».
In una lettera indirizzata al potente cugino qualche giorno dopo il suo rientro a Torino, Pepoli aggiunse: «La coscienza pubblica ha già proclamato che la Città eterna sarà la capitale necessaria d’Italia» [56].
Un’inaspettata crisi ministeriale, che avrebbe condotto di lì a poco alla caduta del governo Rattazzi, determinò tuttavia il naufragio dell’iniziativa.

54. Gioacchino Napoleone Pepoli a Napoleone Bonaparte, Torino, 3 settembre 1862, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, “Minute di lettere al principe Napoleone”

55. Carte de visite di Napoleone III, in Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Raccolta Gozzadini, Risorgimento

56. Gioacchino Napoleone Pepoli a Napoleone III, Torino, 21 settembre 1862, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, “Minute di lettere all’imperatore”

6. I FATTI DI MENTANA

Il 3 novembre 1867 furono le truppe franco-pontificie a scontrarsi a Mentana coi volontari di Giuseppe Garibaldi.
Era quella l’inevitabile conseguenza delle manovre di Rattazzi, il cui secondo governo s’era da poco dimesso, volte a sfruttare l’instabilità generata dalle spedizioni di volontari per poi giustificare i successivi interventi militari del governo italiano.
Pepoli [57] fu informato del disastro di Mentana a Parigi, dove su incarico del generale Enrico Cialdini aveva invano tentato di trattare con Napoleone III e il ministro di Stato Eugène Rouher una via d’uscita all’impasse militare e diplomatica che consentisse a Vittorio Emanuele di «passare senza chinare la fronte» e scongiurasse al tempo stesso la prospettiva di uno scontro diretto tra gli eserciti regolari dei due paesi.
Prima di rientrare a Firenze, Pepoli ebbe modo di incontrare l’imperatrice. Durante il commiato, del cui tenore siamo a conoscenza attraverso le memorie del marchese, Eugenia affermò «che la Francia non avrebbe mai tollerata la cessazione del potere temporale» e che «teneva moltissimo alla indipendenza dell’Italia, perché opera francese, non all’unità, la quale era opera della rivoluzione».

Dall’Italia Pepoli, esortato da Vittorio Emanuele, non cessò comunque di interloquire con l’imperatore, al quale indirizzò due accorate lettere, l’una del 13, l’altra del 16 novembre [58-59]. Con la solita franchezza che sempre contrassegnò i rapporti tra i due cugini, Pepoli sollecitò Napoleone a richiamare in patria il contingente francese di stanza a Roma per non rischiare un nuovo vulnus all’alleanza franco-italiana: «Gli ultimi avvenimenti hanno sopito ogni rimembranza di gratitudine nel cuore d’Italia. L’alleanza colla Francia non è più nelle mani del Governo! Il fucile chassepot a Mentana l’ha ferita mortalmente».
Quando difatti nel 1870, durante la guerra con la Prussia, Napoleone III cercò soccorsi nel Gabinetto presieduto da Giovanni Lanza, questi gli furono negati. Dopo la sconfitta di Sedan e la deposizione dell’imperatore, eventi che determinarono la fine del Secondo impero, Roma poté così essere annessa al Regno d’Italia.

57. Carte de visite di Gioacchino Napoleone Pepoli, in Archivio di Stato di Bologna, Aldrovandi Marescotti, Carteggio, atti vari, miscellanea storico-scientifica, letteraria e d’arte

58. Gioacchino Napoleone Pepoli a Napoleone III, Bologna, 13 novembre 1867, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, “Minute di lettere all’imperatore”

59. Gioacchino Napoleone Pepoli a Napoleone III, Bologna, 16 novembre 1867, in Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, “Minute di lettere all’imperatore”