La redazione dell'elenco dei servi da liberare fu un'operazione complessa, in quanto basata su un'indagine territoriale difficile soprattutto nelle zone appenniniche. L'incarico dell'indagine e della successiva redazione degli elenchi dei servi fu affidato dal podestà Bonaccorso da Soresina a quattro notai, uno per ogni quartiere cittadino, coordinati dal giudice Giacomo Gratacelli. I notai presentarono il frutto del loro lavoro con la massima solennità, facendo precedere l'elenco dei nomi da prologhi.
Ed è così che il
Liber Paradisus non ci offre solo l'ordinato elenco dei 5855 servi per i quali il comune pagò ai 379 padroni la cifra complessiva di 53.014 lire di bolognini, ma anche le motivazioni ufficiali di un provvedimento così complesso ed oneroso, in cui la città ha voluto impegnarsi, come dice il testo, "memore del passato e preparando il futuro".
Dei tre prologhi del
Liber, l'unico che ha avuto divulgazione è il primo, quello del quartiere di porta Procola, opera del notaio Corradino Sclariti, tradotto e pubblicato già da Cherubino Ghiarardacci ai primi del'600 e utilizzato da Giovanni Pascoli come fonte principale della
Canzone del Paradiso, pubblicata nel 1909. Il prologo contiene precisi riferimenti a fonti bibliche, teologiche e giuridiche che collocano il comune in una prospettiva ideologica elevata, in concorrenza con la sovranità imperiale. Nel testo del prologo l'ispirazione ed il modello della liberazione vengono individuati nel paradiso terrestre e nella perfetta libertà originaria dell'uomo, perduta in seguito alla ribellione di Adamo, ma ricreata da Dio attraverso il sacrificio del Cristo Redentore. Nel restituire i servi all'antica libertà, il comune si fa dunque, al tempo stesso, restauratore del diritto di natura e realizzatore del progetto divino di redenzione e poichè la città di Bologna si è distinta nel passato per aver sempre combattuto per la libertà, ora intende abolire nel suo territorio ogni forma di servitù.
Meno elaborato, seppur ispirato agli stessi principi, il prologo del quartiere di porta Piera, opera del notaio Paolo di Giovanni Bresciani, mentre in quello del quartiere di porta Stiera il notaio Ugolino Agresti presenta argomenti diversi: l'origine della servitù viene individuata nelle guerre e nelle conseguenti prigionie, che diffondono fra gli uomini questa "ruggine, in grado di corrodere la società".
Anche la città di Bologna, a causa della grande capacità di contaminazione della condizione servile, vede ogni giorno aumentare il numero dei servi rispetto a quello dei liberi; pertanto, essendo la libertà il più prezioso dei tesori, il comune ha deciso di "estirpare alla radice la macchia della servitù " e di chiamare "all'antica libertà tutti coloro che erano avvinti nei ceppi servili". Di tutto ciò, conclude il prologo, la città deve conservare "perpetua memoria, perchè siano chiare e manifeste queste vicende a chi in futuro vorrà conoscerle". Il notaio Bonvicino Leonardi, che compila l'elenco dei servi di porta Ravegnana, invece non scrive alcun prologo.