All'atto dell'unificazione, l'istituto dell''exequatur' e del 'placet', seppure in forme assai disparate, era già in vigore in tutta la penisola; negli anni immediatamente successivi all'unità si pose mano alla necessaria unificazione legislativa, che fu realizzata attraverso la sostanziale estens
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All'atto dell'unificazione, l'istituto dell''exequatur' e del 'placet', seppure in forme assai disparate, era già in vigore in tutta la penisola; negli anni immediatamente successivi all'unità si pose mano alla necessaria unificazione legislativa, che fu realizzata attraverso la sostanziale estensione a tutto il regno della disciplina subalpina. Le disposizioni generali per l'esercizio del diritto di 'exequatur' e di 'placet' furono stabilite rispettivamente con il R.D. 5 maggio 1863 n. 1169 e con il R.D. 26 luglio 1863 n. 1374 e relativi regolamenti. Le nuove norme conservavano la distinzione, in vigore nel regno sardo, fra i due istituti, per cui si denominava 'placet' l'assenso regio ai provvedimenti di ogni genere emessi da vescovi sudditi italiani; con 'exequatur' si intendeva invece il beneplacito governativo ad atti provenienti da oltre confine e quindi dalla sede apostolica. Come nel regno sardo, inoltre, era delegata alle procure generali presso le corti d'appello la facoltà di impartire il 'placet' e l''exequatur'; quest'ultimo, tuttavia, restava riservato al governo centrale nei casi di interesse generale dello Stato o di più province o comunque per affari di maggiore importanza. Pochi anni più tardi tutta la materia fu profondamente rielaborata dalla legge detta delle Guarentigie (n. 214 del 13 maggio 1871) e dal successivo R.D. 25 giugno 1871 n. 320. In realtà, nella mutata dinamica dei rapporti fra lo Stato italiano e la Santa Sede, il problema della placitazione era piuttosto scaduto d'importanza e in ultima analisi il 'placet' e l''exequatur' conservavano una certa rilevanza solo in quanto potevano garantire che i benefici ecclesiastici non fossero attribuiti a persone politicamente sgradite allo Stato italiano. I due istituti furono quindi mantenuti limitatamente agli atti di destinazione dei beni ecclesiastici e alla provvista dei benefici vacanti; allo stesso tempo veniva comunque fissato l'importante principio che restasse riservata alla giurisdizione statale la cognizione degli effetti giuridici eventualmente derivanti da ogni provvedimento ecclesiastico. In forza delle nuove disposizioni, l'impartizione del 'placet' era ancora delegata ai procuratori generali presso le corti d'appello, i quali dovevano interpellare il governo ed attendere le 'sovrane determinazioni', quando ritenessero che il 'placet' dovesse essere negato. Quanto all''exequatur', esso doveva essere concesso o negato con decreto reale, su proposta del Ministro di grazia e giustizia e dei culti, sentito il parere del Consiglio di Stato. L'impartizione dell''exequatur' e del 'placet' era inoltre subordinata al pagamento di una apposita tassa e veniva effettuata su istanza degli interessati; contro l'eventuale diniego era ammesso il ricorso al Consiglio di Stato, competente a decidere sia nel merito che nella legittimità. La procedura introdotta nel 1871 subì in seguito altre modifiche, fino all'emanazione nel 1920 del testo unico delle disposizioni relative al diritto di placitazione. In quell'occasione fu anche mutata la tradizionale distinzione fra i due istituti, che ora venivano differenziati sulla base dell'oggetto trattato nel provvedimento canonico e non più in ragione della provenienza dell'atto stesso: così, ad esempio, tutti i provvedimenti relativi ai benefici minori venivano sottoposti a 'placet', anche se emessi dalla S. Sede. Successivamente, con il concordato del 1929 (reso esecutivo con legge 21 maggio 1929 n. 810), lo Stato italiano rinunciò definitivamente alle prerogative della placitazione sovrana, pur mantenendo alcune misure atte ad assicurare, in determinate ipotesi, il controllo dei provvedimenti canonici" (dall'Inventario).