1. Governo (o anche Giunta di governo) provvisorio (14 - 20 giugno 1859); il 14 giugno 1859, a seguito dei successi in Lombardia dell'esercito franco-piemontese, e sotto la spinta dei tumulti popolari, il legato pontificio monsignor Luigi Giordani abbandonò Perugia, capoluogo della III Legazione (Umbria, comprendente le delegazioni di Perugia, Spoleto e Rieti) per Foligno. Constatato il rifiuto della magistratura comunale a collaborare, si costituì un governo provvisorio di moderati che offrì subito a Vittorio Emanuele II la dittatura sulla provincia, naturalmente subito rifiutata. Il governo provvisorio (costituito da Francesco Guardabassi, Nicola Danzetta e Zeffirino Faina-Baldini) si trovò dunque a dover provvedere autonomamente, oltre che alla ordinaria amministrazione della cosa pubblica (indicativa a tal riguardo è ad es. la conferma di tutti i funzionari pubblici nei loro impieghi), all'organizzazione della difesa militare contro la repressione pontificia, che, forte di un contingente di circa due mila uomini, in gran parte svizzeri, comandato dal colonnello Antonio Schmidt d'Altorf, riprese infatti Perugia dopo un breve combattimento davanti a Porta San Pietro il 20 giugno. Gli episodi che seguirono alla restaurazione del governo pontificio sono tradizionalmente individuati col nome di "stragi di Perugia", a causa della brutalità che caratterizzò i pontifici nel recupero della provincia.
2. Governi provvisori dell'Umbria (settembre 1860); gli organi particolari di autonomo reggimento politico che precedettero il governo provvisorio generale portato dalle armi piemontesi in Umbria furono poco numerosi, di breve durata e di scarsa rilevanza. Tra questi meritano però di essere segnalati i seguenti, quasi tutti istituiti a seguito dell'arrivo dei volontari organizzati nei "Cacciatori del Tevere" comandati dal colonnello Luigi Masi: la giunta provvisoria di governo di Città della Pieve (9 settembre), la giunta di governo provvisorio di Orvieto (12 settembre), la giunta di Viterbo (20 settembre) e il governo provvisorio di Città di Castello (11 settembre).
3. Commissariato generale straordinario nelle provincie dell'Umbria (12 settembre - 30 dicembre 1860); osserva R. ABBONDANZA nel suo inventario degli archivi degli organi di governo provvisorio dell'Umbria che «la direzione politica e amministrativa dell'Umbria non fu mai, nemmeno per un momento, nelle mani di un governo provvisorio generale espresso dalla popolazione umbra, ma fu assunta immediatamente dallo Stato sardo occupante, che predispose un organo apposito per esercitarla. Tale organo, mente concretamente, cioè sul piano politico-amministrativo interno, mirava a integrare con ogni mezzo l'Umbria all'ingrandito regno di Sardegna, formalmente, su un piano cioè giuridico-costituzionale e di diritto delle genti, offriva col requisito della provvisorietà la garanzia che lo Stato occupante avrebbe rispettato il diritto di autodeterminazione delle popolazioni umbre». L'organo creato per amministrare le ex-delegazioni umbre e prepararne l'annessione al corpo della nazione fu il Commissariato generale straordinario per le provincie dell'Umbria ed a capo ne fu posto il Pepoli con regio decreto del 12 settembre 1860, alle dirette dipendenze del ministro dell'interno. Cavour in un sua lettera da Torino del 6 settembre al Farini nota: «Chi meglio d'un cugino dell'Imperatore può adempiere a quell'ufficio?».
Il commissario generale Pepoli giunse a Perugia, liberata il 14 settembre, il 16 successivo, preceduto di qualche giorno da Filippo Antonio Gualterio, commissario per la sola provincia di Perugia.
Il territorio governato dal Pepoli comprendeva l'intera legazione umbra con le tre delegazioni di Perugia, Spoleto e Rieti, nonché le delegazioni di Orvieto e Viterbo (già nel Circondario di Roma); quest'ultima però tornò in possesso del ponteficie dopo la rioccupazione francese dell'11 ottobre. A capo delle amministrazioni delle tre delegazioni (o provincie, secondo la nuova terminologia) umbre furono posti dei commissari provinciali, mentre Orvieto venne associata a Perugia ed assegnata ad un vicecommissario, come tutti gli altri capoluoghi di distretto (o circondario, secondo la nuova terminologia). In tutti gli altri centri non capoluogo i poteri politi furono demandati al capo dell'amministrazione comunale o, qualora vi fosse già insediato, al delegato di pubblica sicurezza, il tutto in un'ottica fortemente centralizzata e verticistica. Il potere giudiziario venne invece assegnato al giusdicente risiedente in ogni capoluogo di mandamento, l'ultima circoscrizione territoriale che raccolse i singoli comuni.
Ecco i nomi dei commissari e dei vicecommissari provinciali: commissario Gualterio a Perugia ed Orvieto, cui facevano capo i vicecommissari Moraschi Mastricola ad Orvieto, Berardi a Foligno, Vannetti a Città di Castello e Righetti a Todi; commissario Campello a Spoleto, cui facevano capo i vicecommissari Galli a Norcia e Polidori a Terni; commissario Biancoli a Rieti, cui faceva capo il vicecommissario Soragni a Poggio Mirteto. Sforza Cesarini fu effimero commissario a Viterbo.
Il successivo 15 dicembre venne pubblicato infine il decreto che riunì in una sola provincia, quella dell'Umbria, con capoluogo Perugia, le quattro preesistenti provincie. La nuova provincia venne ripartita in sei circondari (Perugia, Spoleto, Rieti, Foligno, Terni ed Orvieto).
Per quel che riguarda invece l'organizzazione dell'amministrazione centrale il Pepoli nominò un segretario generale per il Commissariato (nella persona di Achille Serpieri), e vari segretari "capi-reparto" (o di seconda classe) tra i quali divise le attribuzioni dei vari ministeri (pubblica istruzione, grazia e giustizia ed interno), mantenendo direttamente subordinato al commissario generale l'ispettorato generale di pubblica sicurezza, e creando una Soprintendenza per le finanze articolata in quattro "riparti" (demanio, dogane, poste, tesoro). Alle dipendenze della Soprintendenza delle finanze furono poste inoltre le tesorerie generale e provinciali. A completare il quadro dell'amministrazione centrale fu prevista la nomina di un organo consultivo "composto almeno di una persona spettabile per ognuna delle provincie amministrate", sentito dal commissario generale per le deliberazioni più importanti in ogni ramo dell'amministrazione. Intimamente connessa con l'attività dell'amministrazione centrale del Commissariato fu l'opera di diverse commissioni (particolarmente importanti la Commissione artistica e quella per la visita delle carceri) nominate per svolgere inchieste i cui risultati servirono di base all'opera di riforma mirante alla fusione più completa dell'Umbria nell'organismo nazionale unitario in formazione.
Il 4 e 5 novembre 1860 si svolsero le votazioni per il plebiscito a suffragio universale: i cittadini maggiori di ventuno anni godenti dei diritti civili furono chiamati a pronunciarsi sulla formula: "Volete far parte della Monarchia Costituzionale del Re Vittorio Emanuele II?". I risultati, dopo lo scrutinio effettuato dal tribunale d'appello, furono resi pubblici il 9 novembre: su 123011 iscritti a votare si pronunciarono per il sì 97625. Il 13 novembre Pepoli, a capo di una delegazione umbra, partì alla volta di Napoli per offrire al re l'esito della consultazione; ciò avvenne il 22 novembre, mentre l'annessione fu giuridicamente perfezionata con regio decreto delegato n. 4501 del 17 dicembre 1860, pubblicato dal Pepoli solo il successivo 30 dicembre. Il 24 dicembre intanto il decreto luogotenenziale n. 4502 prorogò la durata dei poteri commissariali fino all'entrata in carica degli intendenti generali designati a reggere le nuove provincie annesse al regno. Gualterio fu inviato a Perugia e ne prese possesso il 2 gennaio 1861, mentre il Pepoli aveva già annunciato con un proclama alla popolazione il compimento della propria missione il 29 dicembre.
Una settimana dopo il plebiscito, l'11 novembre 1860, si svolsero anche le consultazioni elettorali per la formazione delle nuove amministrazioni locali, che confermarono in gran parte i componenti delle commissioni municipali provvisorie nominate nel settembre precedente.