VII. 1941: tutti in fila per il Grande Reich
Gli ispettorati corporativi del lavoro furono istituiti nel 1931 su base provinciale quali uffici periferici del Ministero delle corporazioni, un dicastero insediato nel 1926 dal Governo fascista. Gli ispettorati corporativi, oltre a ereditare le competenze dei soppressi ispettorati dell’industria e del lavoro (esistenti già dal 1912), esercitavano la vigilanza sulla corretta osservanza dei contratti collettivi di lavoro, che avevano efficacia obbligatoria generale. Nel circolo di Bologna l’Ispettorato ebbe sede in via Cesare Battisti.
A seguito dell’emanazione tra il 13 e 27 febbraio 1941 di due circolari del Ministero delle corporazioni, presso ciascun ispettorato corporativo si costituì un comitato provinciale «per l’esame delle singole situazioni aziendali ai fini della designazione nominativa degli operai metal-meccanici e siderurgici da rendere disponibili per l’invio in Germania» (1). L’organo era dunque incaricato della determinazione dei contingenti di maestranze da inviare in territorio tedesco a beneficio della produzione bellica del Grande Reich, ed era formato da quattro membri rappresentanti l’Ispettorato corporativo, il Sottosegretariato per le fabbricazioni di guerra (Fabbringuerra), l’Unione industriali e l’Unione lavoratori dell’industria.
A ciascuna ditta veniva inviato il modello di un elenco da compilare e restituire in quadruplice copia al comitato; nell’elenco dovevano essere indicati il nominativo, la data di nascita, le qualifiche sindacali e di mestiere, lo stato civile, il numero dei figli, la matricola, la paga ordinaria e l’eventuale grado militare del lavoratore. Gli operai scelti dovevano aver superato i 30 anni, oppure i 40 se appartenenti alle forze armate. Nella scelta le ditte avrebbero dovuto preferire gli ammogliati con figli, e accompagnare l’elenco con i libretti di lavoro degli operai indicati.
Presa visione delle proposte avanzate, il comitato vagliava le particolari esigenze della produzione in atto presso la singola ditta, tenendo inoltre conto dell’orario di lavoro; dopodiché stabiliva il numero esatto dei lavoratori da rendere disponibili per l’invio in Germania, distinguendoli in quattro categorie: operai specializzati, operai qualificati, manovali specializzati e manovali comuni.
La ditta, pur continuando a mantenere gli operai al lavoro, doveva renderli disponibili su richiesta dell’ufficio di collocamento dell’Unione lavoratori dell’industria entro il termine indicato dallo stesso ufficio, comunicato con un preavviso di soli tre giorni.
Inoltre, affinché il ritmo produttivo rimanesse inalterato anche a fronte del trasferimento di lavoratori, la ditta doveva compensare la diminuita occupazione operaia aumentando gli orari di lavoro. In particolare, nei reparti di produzione con lavoro continuativo, ai tre turni da 8 ore si sarebbero dovuti sostituire doppi turni da 12 ore ciascuno, per un totale di 72 ore settimanali, mentre nei reparti dove la durata della produzione fosse stata inferiore alle 24 ore, i turni di lavoro sarebbero stati elevati fino a 10 ore giornaliere, per un totale di 60 ore settimanali.
I lavori del comitato bolognese presero avvio nei primi giorni del marzo 1941 con l’invio alle ditte degli elenchi da compilare, e si articolarono in due successive campagne di reclutamento.
Nel corso del primo censimento della forza lavoro disponibile furono interpellate ben 126 ditte collocate entro la circoscrizione del Comune di Bologna e 21 impianti produttivi sparsi nel rimanente territorio provinciale; durante la seconda campagna di reclutamento, iniziata a metà maggio dello stesso anno, furono nuovamente interessate 37 ditte urbane e 7 ditte provinciali già toccate dalla prima campagna (2).
Scorrendo la documentazione prodotta dal comitato è altamente sintomatico del dualismo che caratterizzava il sistema produttivo di quegli anni rinvenire affiancati i nomi delle imprese afferenti al settore, concentrato e moderno, delle industrie “protette” e dipendenti dall’economia “di guerra”, a quelli delle ditte che costituivano la tradizionale compagine delle micro aziende artigianali e semi industriali.
In particolare, la Società scientifica radio brevetti Ducati (3), che meno aveva risentito della crisi degli anni Trenta, costituiva l’esempio più macroscopico dello sviluppo dell’industria specializzata bolognese. Dal 1938, da quando ossia la ditta aveva trasferito la propria sede nel modernissimo stabilimento di Borgo Panigale, la Ducati si era affermata sul piano europeo con la prestigiosa adozione di proprie apparecchiature da parte dei transatlantici Rex e Normandie. Era stata inoltre dichiarata “stabilimento ausiliario” con l’inizio della guerra d’Etiopia. Quando il 1° aprile 1941 venne interpellata dall’Ispettorato corporativo, la Ducati mise a disposizione 40 dei suoi oltre 1500 dipendenti.
Pur non raggiungendo uno sviluppo industriale paragonabile a quello della Ducati, un’altra impresa come la Sabiem (Società anonima bolognese industrie elettro meccaniche) e Fonderie Parenti (4) di via Emilia aveva comunque consolidato una presenza nazionale nel settore delle macchine automatiche. La ditta segnalò 29 lavoratori dal reparto officina e ben 60 dal reparto fonderia, a cui andarono a sommarsi altri 6 operai individuati nel corso della seconda campagna di reclutamento.
Lo sviluppo della Sasib (Società anonima Scipione Innocenti Bologna) (5) è poi esemplare per cogliere il rilievo dell’apporto statale all’intera congiuntura prebellica. La fornitura di sistemi di sicurezza per le ferrovie aveva consentito alla società di uscire visibilmente rafforzata dalla crisi: oltremodo positiva fu la domanda di impianti legata alla direttissima Bologna-Firenze. Presso il nuovo stabilimento di via Corticella aperto nel 1937 si concentrò inoltre la produzione di macchine confezionatrici di sigarette commissionata dai Monopoli di Stato. La Sabiem rese disponibili 27 dei circa 950 dipendenti.
Infine la ditta Giuseppe Minganti & C. (6): rielaborando progetti stranieri, adottando tecnologie imitative e potenziando orientamenti già intravisti alla fine degli anni Venti, lo stabilimento di via Ferrarese forniva macchine di alta qualità a costi accessibili e talora competitivi rispetto ai modelli tedeschi, inglesi e americani, occupando circa 330 operai, 37 dei quali segnalati come contingente disponibile per il trasferimento in Germania.
Quanti di questi lavoratori siano effettivamente partiti per il territorio del Reich è difficile appurare.
Dopo la caduta del regime fascista e la soppressione degli ispettorati corporativi, nel 1945 furono creati gli ispettorati provinciali del lavoro. La loro organizzazione mutò tuttavia già nel 1961. Agli uffici provinciali, infatti, furono affiancati nuovi enti, articolati su base regionale, ai quali furono attribuite funzioni di coordinamento e vigilanza: gli ispettorati regionali del lavoro.
La documentazione esposta in questa vetrina proviene dal fondo versato all’Archivio di Stato di Bologna dall’Ispettorato regionale del lavoro di Bologna in quanto ufficio dell’amministrazione periferica statale dipendente dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Riferimenti archivistici
1. Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 1, “2° reclutamento. Bologna”, L’ispettore capo del circolo di Bologna dell’Ispettorato corporativo del lavoro alla ditta Società anonima Edoardo Weber, Bologna, 27 marzo 1941.
2. Ibidem, Elenco degli stabilimenti della città e provincia di Bologna interessati dal 2° reclutamento, [Bologna, maggio 1890].
3. Ibidem, Il consigliere delegato e direttore generale della Società scientifica radio brevetti Ducati all’Ispettorato corporativo del lavoro, Bologna, 2 maggio 1941.
4. Ibidem, Il procuratore generale della Sabiem e Fonderie Parenti all’Ispettorato corporativo del lavoro, Bologna, 5 aprile 1941.
5. Ibidem, L’amministratore delegato della Sasib all’Ispettorato corporativo del lavoro, Bologna, 7 aprile 1941.
6. Ibidem, Il gerente della Giuseppe Minganti & C. all’Ispettorato corporativo del lavoro, Bologna, 11 marzo 1941
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