II. 1894: «Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà; o vivremo del lavoro o pugnando si morrà»
La Lega dei Figli del Lavoro era un’associazione milanese di lavoratori manuali, che aveva tra i suoi fini, oltre l’assistenza dei soci e il mutuo soccorso, l’istruzione popolare, la tutela dei diritti dei salariati e la loro emancipazione sociale. Nel 1886 se ne sarebbe dovuto inaugurare lo stendardo: un’occasione importante, da celebrare anche con un canto che, esaltando il lavoro, ponesse l’accento sugli ideali e sulle aspirazioni del movimento operaio.
La manifestazione non poté svolgersi, per il divieto imposto dagli organi di polizia, e i grandi festeggiamenti dovettero ridursi a una riunione privata, nel corso della quale fu comunque cantato in coro l’Inno dei lavoratori (1), appena composto per l’occasione. Uno dei fondatori del socialismo italiano, Filippo Turati (Como 1857 – Parigi 1932), all’epoca giovane avvocato, ma già molto noto negli ambienti del movimento operaio, ne aveva scritto il testo. Lo stesso autore, da un punto di vista letterario, non andava particolarmente fiero di quei versi, tanto che ebbe a definirli un «delitto contro la poesia». Erano però parole cariche di una forte tensione ideale, quella tensione che, nell’Italia di fine Ottocento, accompagnava costantemente e con grande forza i primi passi del movimento operaio.
La musica fu invece opera del romagnolo Amintore Galli (Perticara 1845 – Rimini 1919). Egli in realtà l’aveva composta in precedenza e per scopi del tutto diversi, ma soprattutto a quell’inno dovette la sua fama, una fama che gli era fino ad allora sfuggita, anche se da tempo svolgeva un’intensa attività e ricopriva prestigiosi incarichi in campo musicale in genere, e nel mondo della lirica in particolare.
Il brano ebbe un successo straordinario e si diffuse ben presto in tutta Italia, nonostante fosse stato dichiarato fuorilegge: una nota del Ministero dell’interno, datata 28 dicembre 1893 e indirizzata al prefetto di Bologna, nel richiamare le ordinanze di sequestro emesse a proposito dell’Inno «dalle autorità giudiziarie di Parma, Catania e Milano», ribadiva che «è fuor di ogni dubbio che lo stampato dell’Inno dei Lavoratori debba sempre sequestrarsi». Di più, sottolineava come «il canto di quell’inno debba ritenersi sovversivo e non solo non possa permettersi in pubblico, ma costituisca reato ai sensi degli articoli 246 e 247 del codice penale; per lo che si possa procedere in flagranza all’arresto dei colpevoli». (2)
Circa sei mesi più tardi, il 18 giugno 1894, la Questura di Bologna (3) informava che, analogamente a quanto era già accaduto per l’Inno dei lavoratori, e sostanzialmente con le stesse motivazioni, la Procura generale presso la Corte d’appello di Roma aveva disposto il sequestro dell’Inno della canaglia o Marcia dei ribelli (4). Era anche questo un canto dedicato al lavoro e rivolto ai lavoratori, che, come il brano di Turati, poneva l’accento sui concetti basilari del pensiero operaista. I versi erano stati scritti nel 1891 da un famoso intellettuale anarchico, l’avvocato e poeta Pietro Gori (Messina 1865 – Portoferraio 1911), autore anche, fra l’altro, di un Inno del primo maggio, che si cantava sull’aria Va pensiero del Nabucco di Giuseppe Verdi.
La musica per l’Inno della canaglia era stata invece composta da Carlo Della Giacoma (Verona 1858 – Todi 1929), compositore e direttore d’orchestra, amico del Gori. Su quest’ultimo d’altra parte la Questura di Bologna aveva già appuntato la sua attenzione. Con una circolare riservata del 7 giugno 1894 il questore avvertiva che «da alcuni mesi l’avv. Pietro Gori, socialista-anarchico e propagandista attivissimo, percorre le provincie dell’alta e media Italia, tenendo conferenze […] [la] propaganda che va facendo […] si risolve in istigazione a delinquere, in eccitamento all’odio fra le classi sociali […] Ciò stante, occorrendo seguire il Gori nelle eventuali sue gite in questa Provincia, raccomando alla S.V. di disporre la massima vigilanza» (5).
«Come stampato, l’Inno dei lavoratori […] deve essere sequestrato ovunque si trovi e comunque sia riprodotto. Ove poi si canti in pubblico, non deve tralasciarsi di procedere all’arresto dei colpevoli e loro denuncia all’autorità giudiziaria […] avendo già varie sentenze riconosciuto che il concetto generale cui l’Inno si informa quello è dell’apologia di delitti e di eccitamento all’odio fra le classi sociali. E per vero esso propugna la espropriazione dei proprietari e la distruzione di ogni governo, istiga alla guerra civile ed alla strage come mezzi al fine, eccita i proletari a stringersi intorno ad una bandiera, a lottare, a vincere o morire»: così il prefetto di Bologna scriveva al questore il 15 maggio 1894 (6), dando istruzioni inequivocabili sul comportamento da tenere da parte degli organi di pubblica sicurezza.
Due episodi accaduti a Imola nel gennaio di quello stesso anno 1894 dimostrano come quelle istruzioni fossero da considerare con efficacia retroattiva.
Il 3 gennaio 1894, verso le ore 22, alcune guardie di città in servizio di pattuglia nel centro di Imola colsero un gruppo di giovani mentre «permettevansi cantare sotto questi portici il noto Inno dei lavoratori di Filippo Turati, disturbando così il riposo dei cittadini. Essendo stati da noi avvertiti di smettere, dessi continuarono a camminare a passo accellerato e non avrebbero desistito se, giunti vicino al Caffè delle Colonne, non fossero stati redarguiti da alcuni cittadini».
Circa una settimana più tardi, la sera del 9 gennaio 1894, un altro giovane imolese, Sante Galassi, fu denunciato dai carabinieri e dalle guardie di città, i quali riferirono che, di servizio «allo scalo ferroviario […] sentimmo che nel Caffè colà esistente una comitiva di giovanotti cantavano». Videro poi lo stesso Galassi «il quale nella folla incitava gli altri a cantare l’Inno dei lavoratori, inno che in quel momento non fu intonato», ma qualche minuto dopo udirono che «il Galassi Sante suddetto, con altri di cui non potemmo conoscere il nome, cantava l’Inno dei lavoratori» (7).
In base alle istruzioni del Ministero dell’interno e della Questura di Bologna, tanto Sante Galassi quanto i giovani dell’altro gruppo furono denunciati all’autorità giudiziaria. Il primo fu imputato dei reati di istigazione a delinquere e di eccitamento all’odio fra le classi sociali; per gli altri l’imputazione fu la stessa, con l’aggiunta delle accuse di schiamazzi e di disturbo della quiete pubblica.
Nel corso del processo, che si svolse il 13 febbraio 1894 davanti al Tribunale di Bologna, tutti gli imputati confessarono «d’aver cantato le prime due strofe dell’Inno dei lavoratori del Turati in compagnia fra loro ed il Galassi a sua volta in compagnia di altri […] affermando di non avere avuto menomamente intenzione di eccitare all’odio tra le diverse classi sociali […] e specialmente sostenendo d’avere smesso dal cantare tosto che vennero invitati dagli agenti di p.s. e di non esservi stato pericolo di perturbamento dell’ordine pubblico».
Il principale testimone fu il brigadiere che comandava la pattuglia delle guardie di città, il quale dichiarò come «in Imola fino al 3 gennaio 1894 non si facesse dagli agenti della pubblica forza alcuna osservazione per il canto dell’Inno Turati […] Depose ancora che, tenendo conto della tolleranza di opinioni tra partiti in Imola, nonché dei luoghi in cui l’Inno veniva cantato e della qualità delle persone che lo cantavano e che si trovavano presenti, non vi era stato, a suo modo di vedere, alcun pericolo di perturbamento della pubblica tranquillità» (8).
Il Tribunale ritenne infine che gli imputati cantassero l’Inno dei lavoratori soltanto «per motivo di divertimento ed esulata qualunque dolosa intenzione» e li assolse tutti, giudicandoli colpevoli unicamente di schiamazzi. Ma, contro la sentenza di assoluzione del Galassi la pubblica accusa ricorse in appello e, al termine del processo di secondo grado, la Corte d’appello di Bologna giudicò l’imputato colpevole e lo condannò a 75 giorni di reclusione e a 41 lire di multa (9).
Riferimenti archivistici
1. Archivio di Stato di Bologna, Questura, Gabinetto, b. 212, “Inno dei lavoratori – Agitazione nei partiti anarchici e socialisti in Imola”, Copia dell’Inno dei Lavoratori.
2. Ibidem, Il Ministero dell’interno al prefetto di Bologna, Roma, 28 dicembre 1893.
3. Ibidem, Circolare del questore di Bologna, Bologna, 18 giugno 1894.
4. Ibidem, Copia dell’Inno della canaglia.
5. Ibidem, “Agitazione dei partiti sovversivi – Vigilanza – Partito socialista dei lavoratori italiani”, Circolare del questore di Bologna, Bologna, 7 giugno 1894.
6. Ibidem, Il prefetto di Bologna al questore di Bologna, Bologna, 15 maggio 1894.
7. Ibidem, Verbale di denuncia di Carabinieri di Imola, Imola, 9 gennaio 1894.
8. Ibidem, Tribunale penale di Bologna, Fascicoli processuali, Fasc. 2108/1894, c. 34.
9. Ibidem, Questura, Gabinetto, b. 212, “Inno dei lavoratori – Agitazione nei partiti anarchici e socialisti in Imola”, Sentenza nel processo d’appello contro Sante Galassi, 23 aprile 1894.
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