2. Istantanee di “teatro musicale”

Quando, nel 1763, all’epoca di padre Martini e del celeberrimo cantante Farinelli, fu inaugurato a Bologna il Teatro comunale, la città vantava già una vita musicale assai intensa e vivace e rivestiva un ruolo della massima rilevanza nel sistema produttivo dell’opera italiana. Ormai da tempo vivevano a Bologna grandi uomini di musica, famosi maestri del canto, oltre a tantissimi professionisti della scena e in genere operatori del mondo musicale. E si può ben dire che Bologna fosse una città di teatri, con una quarantina di palcoscenici, più o meno grandi e più o meno importanti: teatri di palazzo, in gran parte, e sale di residenze private.
A Bologna, in effetti, la lirica deve molto, in assenza di una corte, al mecenatismo e alla passione delle famiglie più eminenti: grazie alla nobile famiglia Pallavicini un Mozart poco più che bambino poté arrivare in città, presentato dal milanese conte di Firmian, ed esibirsi come applauditissimo ospite del maresciallo Pallavicini, cui Leopold Mozart indirizzerà, al rientro a Salisburgo, lettere colme di gratitudine. Il conte Sicinio Pepoli protesse invece a lungo il grande Farinelli, che gli scriveva delle sue vicende teatrali e dei concerti presso le corti straniere. L’attenzione per la musica dei Malvezzi Campeggi è testimoniata da una preziosa raccolta di manoscritti, che vanno dalle partiture di opere e di composizioni diverse ai metodi e agli esercizi per l’apprendimento del canto o di vari strumenti.
Dal XVII secolo, confluiti gli antichi intermezzi nel melodramma, questo nuovo genere di spettacolo, affascinante e raffinato, andò acquisendo importanza crescente. Nel ‘700 era ormai consolidato a Bologna un organizzato sistema teatrale, con una autentica stagione operistica, la stagione del Carnevale, che aveva inizio la sera del 26 dicembre e prevedeva un vero e proprio cartellone per ogni palcoscenico, pubblico o privato che fosse.
La produzione degli spettacoli non veniva gestita direttamente dai proprietari delle sale ma era affidata agli impresari, sui quali ricadeva l’intera responsabilità dello spettacolo, dall’ingaggio del compositore e del cast fino all’allestimento, all’illuminazione e al riscaldamento della sala. Era un’attività sicuramente onerosa e ad elevato rischio economico. L’insuccesso era in effetti tutt’altro che raro ed ecco dunque l’impresario tentare di rabbonire gli spettatori infuriati per una rappresentazione poco riuscita, sostituendo qualche artista, abbassando il prezzo dei biglietti e – perché no – organizzando “un nuovo ballo” verso la metà del calendario delle recite, mentre i bandi del cardinal legato ricordavano agli spettatori le regole di comportamento, ad evitare disordini pubblici e disturbo allo svolgersi dello spettacolo. D’altro canto, proprio nell’intento di richiamare il maggior numero di spettatori e di assicurarsi il successo, si sceglievano i compositori più in voga e cast di tutto riguardo, con gli interpreti più ammirati e amati dal pubblico, che in qualche caso dimostrava apertamente il proprio apprezzamento con versi composti per l’occasione, a sottolineare prove particolarmente brillanti, specie di celebrate prime donne. Tra i teatri cittadini, il Marsigli e il Malvezzi erano tra i più attivi e venivano regolarmente concessi in affitto agli impresari, per la rappresentazione di “opere in musica”, serie o buffe, in occasione delle quali venivano diffusi avvisi a stampa, mentre si vendevano sia abbonamenti che biglietti per singole recite, su prenotazione o al botteghino.
La tradizione operistica bolognese attraversava indenne i secoli e i rivolgimenti politici e sociali, anche i più eclatanti, anche se talvolta, come durante l’età napoleonica, se ne avvertivano i segni. Nel 1805 fu eretto in città un nuovo teatro, il Teatro del Corso, situato in strada Santo Stefano, che avrebbe continuato l’attività fino alla sua distruzione nel 1944. Proprio all’inaugurazione del Teatro del Corso esordiva un cantante tredicenne, Gioacchino Rossini, che a Bologna visse a lungo, come testimoniano i documenti per la ristrutturazione della sua casa in Strada Maggiore e una lettera in cui, in uno dei periodi più difficili della sua vita, il compositore rende partecipe il conte bolognese Cesare Bianchetti del suo disagio.
Col trascorrere del tempo molte delle vecchie sale andavano distruggendosi o venivano dismesse, ma il Teatro comunale, con la sua grande orchestra, con lo splendore dei titoli, con i nomi dei direttori e degli interpreti più famosi della sua stagione d’autunno, restava e resta il simbolo della grande tradizione operistica bolognese.