I frammenti di manoscritti ebraici dell'Archivio di Stato di Bologna nell'ambito della Genizah italiana e bologneseLa raccolta
Frammenti di manoscritti ebraici, che si conserva presso l'Archivio di Stato di Bologna, è costituita da frammenti di manoscritti membranacei medievali riutilizzati in età moderna come coperte di registri archivistici, staccati e restaurati a più riprese dall'inizio del Novecento ad oggi. I frammenti sono stati oggetto di studio nell'ambito del più ampio
Progetto frammenti ebraici in Italia, ideato a partire dal 1981 dal professor Giuseppe Baruch Sermoneta e volto ad avviare una sistematica operazione di censimento ed individuazione di tutti i frammenti di manoscritti ebraici medievali smembrati e riutilizzati come legature, conservati negli archivi e nelle biblioteche d'Italia. Dalla fine degli anni Ottanta il progetto è stato curato da Mauro Perani, docente di ebraico presso l'Università di Bologna nella sede di Ravenna, che ne ha modificato la denominazione in
Progetto di Genizah italiana, con un richiamo alla più celebre scoperta del Cairo, dove nel 1896 furono rinvenuti migliaia di frammenti, conservati appunto nella
genizah - termine che designa un ripostiglio destinato ad accogliere libri o oggetti rituali logori o fuori uso, in ottemperanza al precetto ebraico che vieta la distruzione di qualunque oggetto che contenga il nome di Dio - di una sinagoga situata nella parte antica della città.
I frammenti di manoscritti ebraici medievali rinvenuti in Italia allo stato attuale della ricerca, tuttora in corso, sono oltre 13.000. Secondo Colette Sirat, una fra i massimi studiosi del manoscritto ebraico, quasi la metà dei manoscritti ebraici conservati nelle biblioteche di tutto il mondo (circa 70.000 oltre ai frammenti cairoti) è transitata in Italia, per essere stata qui prodotta o portata da immigrati; testimonianze di tale passaggio sono talvolta le note di possessori italiani o le sottoscrizioni di censori operanti nella penisola. In base alle stime della studiosa, tuttavia, i manoscritti pervenuti sino a noi non sarebbero che un'esigua percentuale dell'intera produzione ebraica europea del periodo medievale, in proporzione molto più imponente rispetto a quella cristiana a motivo dell'alto tasso di alfabetizzazione degli ebrei maschi, che fin da bambini praticavano la lettura e lo studio dei testi sacri .
Diversi fattori hanno concorso alla distruzione di gran parte della produzione libraria ebraica, primo fra tutti la riposizione rituale e la successiva sepoltura del libro sacro nelle
genizot al fine di evitare la profanazione del nome di Dio, una prassi adottata anche in Europa attraverso l'inumazione dei codici nell'umida terra del continente che spesso ne ha determinato la decomposizione. Vanno poi annoverati, fra le cause di tali perdite, l'intenso uso dei testi sacri da parte degli ebrei ed il conseguente deperimento dei manoscritti; l'assenza di veri e propri
scriptoria per l'esecuzione delle copie, lasciata all'iniziativa individuale di scribi di professione o singoli interessati; l'estrema mobilità del popolo ebraico, per costrizione o per iniziativa personale, e il conseguente trasferimento dei manoscritti, esposti, a differenza dei codici cristiani, ad ogni genere di calamità; infine, il loro smembramento e successivo reimpiego come coperte e legature di registri e volumi: fattore, questo, che in qualche caso ne ha determinato la salvezza ed il ritrovamento.
La maggior parte dei frammenti di manoscritti ebraici rinvenuti in Italia si trova in Emilia-Romagna, in particolare negli archivi di Modena; a Bologna si contano 850 frammenti di manoscritti ebraici databili fra l' XI ed il XVI secolo e. v., di cui 818 rinvenuti presso il solo Archivio di Stato. Tra il XVI ed il XVIII secolo essi furono riutilizzati, insieme ad altri manoscritti membranacei in lingua latina, greca, araba e lingue volgari, come coperte e legature di registri e volumi, secondo la consuetudine, attestata sin dall'antichità, di procedere al riciclaggio dei materiali del libro. Una delle cause maggiori del loro reimpiego in età moderna, che accomuna tutti i manoscritti indipendentemente dal contesto di provenienza, è da attribuirsi certamente al loro collasso sul mercato a seguito dell'affermarsi della stampa; essi furono destinati progressivamente a divenire materiali da riuso, acquistati da rigattieri, smembrati e venduti alle botteghe di legatori. Non vanno tuttavia trascurate, nel caso del manoscritto ebraico, le persecuzioni operate dall'Inquisizione a seguito delle disposizioni emanate dal Concilio di Trento, che stabilivano sequestri, distruzioni e roghi dei testi sacri ebraici, in particolare del
Talmud, accusato di contenere brani blasfemi nei confronti della religione cristiana. Anche a Bologna, come nelle altre città dello Stato pontificio, si assiste a partire dalla metà del XVI secolo ad una serie di provvedimenti sempre più restrittivi nei confronti della comunità ebraica cittadina che culminerà con la prima espulsione nel 1569 e con quella definitiva nel 1593; gli anni immediatamente successivi a queste date coincidono, come suggeriscono le ricerche, con i picchi di riutilizzo della pergamena ebraica. Per quanto riguarda il fenomeno dello smembramento dei manoscritti, ebraici e non, e del loro riciclo come coperte di registri notarili o legature, le ricerche condotte da Mauro Perani in Emilia Romagna indicano chiaramente che i registri venivano ricoperti nelle botteghe dei legatori presenti nei grossi centri e nei capoluoghi. Successivamente gli acquirenti apponevano su di essi il proprio nome, l'indicazione degli atti contenuti e gli estremi cronologici; si può verosimilmente ritenere che l'estremo cronologico inferiore coincida con l'anno del riciclaggio della pergamena. Di frequente, inoltre, gli acquirenti comperavano dallo stesso legatore più di un registro, e questo ha fatto sì che le indagini compiute in diversi istituti di conservazione abbiano individuato numerosi registri compilati dallo stesso notaio, tutti confezionati con la stessa tecnica e utilizzando fogli del medesimo manoscritto.
Fra le caratteristiche più notevoli della
Genizah italiana, se confrontata con i ritrovamenti nelle aree tedesca e sefardita, vi è quella di offrire una notevole panoramica delle tre grafie ebraiche diffuse in Occidente (la scrittura italiana, quella akenazita e quella sefardita) a testimonianza dei consistenti flussi migratori che tra il XIV ed il XV secolo portarono le comunità ebraiche, espulse dalla Francia, dalla Germania e dai domini della corona spagnola, a stabilirsi nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale portando con sé i propri manoscritti e continuando a copiarli nelle grafie della terra d'origine. Questo notevole afflusso ha contribuito a fare dell'Emilia-Romagna, e di Bologna in particolare, un luogo privilegiato di diffusione della cultura ebraica.
La presenza ebraica a Bologna tra il 1353 ed il 1593La presenza di una comunità ebraica stabilmente insediata a Bologna è attestata a partire dal 1353, sollecitata in modo particolare dalle autorità cittadine per fronteggiare il problema dell'anticipazione del denaro. Fra il XIV ed il XV secolo operano in città almeno sette o otto banchieri ebrei, principalmente nelle zone tra via San Vitale, piazza Santo Stefano e piazza di Porta Ravegnana; sono dieci nel 1544, anno del rinnovo della condotta - il contratto stipulato con le autorità cittadine che autorizza gli ebrei ad esercitare l'attività di prestito di denaro - concesso da Paolo III. Gli ebrei stabiliti in città, che alla fine del Trecento sono almeno 95 su una popolazione di circa 30.000 abitanti, oltre a gestire l'attività feneratizia operano nel ramo del commercio delle stoffe, della mercatura dei veli da seta e della medicina; rinomata è pure l'attività tipografica, di copiatura e decorazione dei manoscritti: in quest'ultimo campo si distingue in particolare l'opera di Yosef ben Avraham Caravita, che dà alle stampe nel 1477 l'
editio princeps dei Salmi in ebraico con il commento del grammatico ed esegeta francese David Qimḥi, e soprattutto quella del medico, filosofo e commentatore di testi biblici Ovadyah Sforno, fondatore nel XVI secolo di una rinomata scuola di studi talmudici.
La proficua relazione tra gli ebrei e la città viene progressivamente ad incrinarsi a seguito della definitiva integrazione del territorio bolognese nello Stato pontificio e delle misure sempre più restrittive, alternate a provvedimenti di distensione, che esso adotta a partire dalla metà del XVI secolo nei confronti delle comunità ebraiche. La prima fra le misure persecutorie adottate, in contrasto con l'atteggiamento tutto sommato tollerante tenuto sino ad allora dalle autorità cittadine, generalmente propense a favorire la convivenza con il resto della popolazione, è l'emanazione della bolla
Cum nimis absurdum da parte di papa Paolo IV (1555), con la quale vengono stabiliti, tra le altre cose, l'adozione del segno giudaico, la proibizione al possesso di beni stabili e ai rapporti con i cristiani se non per necessità di lavoro, il divieto all'attività economica nei giorni festivi cristiani e naturalmente l'istituzione del ghetto, il "serraglio di hebrei" - a Bologna ubicato nella zona tra via Cavaliera (l'odierna via Oberdan) e via San Donato (via Zamboni), non distante dall'insediamento originario della comunità. Al tentativo di conciliazione di Pio IV, promotore nel 1562 della bolla
Dudum a felicis, segue l'espulsione, decretata sette anni dopo da Pio V con il documento
Hebraeorum gens, di tutte le comunità ebraiche da tutti i domini pontifici eccetto Roma e Avignone. Riammessi per un breve periodo nel 1586, vengono definitivamente allontanati nel 1593 in seguito alla bolla di Clemente VII
Caeca et obdurata. Solo nel 1796, in conseguenza dell'occupazione napoleonica dell'Italia settentrionale, gli ebrei otterranno una prima e temporanea parificazione civile, giuridica e religiosa.