7. Inno per l’Internazionale e altri testi poetici
Il testo autografo dell’Inno, noto a Benedetto Croce che ne trascrisse i primi otto versi confluiti nella sua monografia su Pascoli del 1907, è stato rinvenuto a Napoli presso la biblioteca Filomarino e pubblicato da Elisabetta Graziosi.
Come ha rilevato la stessa curatrice dell’edizione, il testo poetico, risalente al gennaio 1878, si fonda «sugli ideali insurrezionistici (pugnale, dinamite e petrolio) proiettati a ritroso nella mitologia e nella storia romana Spartaco e Prometeo» e «propone soprattutto la rivoluzione, la liquidazione sociale, la lotta antiborghese, il “giorno dell’ira” e dell’odio: è insomma una canzone di protesta e di vendetta e non un inno al lavoro».
A distanza di anni, Giovanni Pascoli rievocherà in una nota alla prima edizione dei Canti di Castelvecchio (1903) a proposito della poesia La voce, il suo tormentato impegno politico giovanile, unitamente all’esperienza carceraria: «Nella poesia La voce è un’allusione che mi riconduce a tempi, che ora sembrano chiusi, ma che parevano voler condurre l’Italia alla condizione d’una Russia forse peggiore: d’una Russia non solo senza giustizia ma senza grandezza. Quanta prigione per nulla! O per molto, a dir vero: per sentimenti e idee. Fu nei primordi del socialismo italiano, in cui si processavano come malfattori quelli che aspiravano a togliere dal mondo il male; e si condannavano. Io protestai. E così ebbi occasione di meditare profondamente, per due mesi e mezzo d’un rigidissimo inverno, su la giustizia. Dopo la qual meditazione mi trovai allora assolto e per sempre indignato. Ai cari compagni di quel tempo un saluto!».
Cfr. E. Graziosi, Pascoli edito e ignoto: inno per l’Internazionale anarchica, in «Giornale storico della letteratura italiana», vol. CLXXXIV, fasc. 606 (2007), pp. 272-281.
Soffriamo! Ne’ giorni che il popolo langue
È insulto il sorriso, la gioia è viltà!
Sol rida chi ha posto le mani nel sangue,
E il fato che accenna non teme o non sa:
Prometeo sull’alto del Caucaso aspetta,
Aspetta un bel giorno che presto verrà
Un giorno del quale sii l’alba, o vendetta!
Un giorno il cui sole sii tu, Libertà!
Soffriam! ché il delitto non regna in eterno!
Soffriam! ché l’errore durare non può!
Già Satana giudica nel pallido inferno
Il Dio de’ Tiranni che al bujo il dannò!
È forse una vampa del tetro petrolio
Che su per le nere muraglie guizzò?
Chi là ne l’altare, chi qua sopra il solio
Fantasma di truce bellezza s’alzò?
Soffriam: le catene si spezzano al fine
Allor che pugnali, ne piaccia foggiar;
Fra un mucchio fumante di sparse ruine
Già Spartaco è sorto tremendo a pugnar.
Soffriamo, o fratelli! la mano sul cuore
Lo sguardo nuotante, nell’alba che appar!
Udite?! Le squille che suonano l’ore
A stormo tremendo desiano suonar!
Già mugghia il tremuoto laggiù nella reggia!
S’accampa ne’ templi superbo il Pensier!
Un rosso vessillo nell’aria fiammeggia,
E in mezzo una scritta vi luccica in ner:
Un’alta sentenza che i secoli andati
Pensaron nel tempo del muto dolor
Che nega l’umana pietà agli spietati!
Che all’odio condanna chi uccise l’amor!
Le dolci fanciulle ch’avete stuprato,
I bimbi che indarno vi chiesero il pan,
Nel giorno dell’ira, nel giorno del fato,
I giudici vostri, borghesi, saran.
Sonetto di Giovanni Pascoli indirizzato a Sveno Battistini
Si tratta di un sonetto gratulatorio indirizzato da Giovanni Pascoli all’amico internazionalista Sveno Battistini per il conseguimento della laurea in legge, stampato a Rimini su un foglio volante nel 1878. Il testo, rinvenuto presso una collezione privata e pubblicato da Elisabetta Graziosi, instaura un preciso parallelismo tra la figura del Cristo e “i nuovi redentori socialisti, condannati come malfattori e vagabondi”.
Cfr. E. Graziosi, Pascoli edito e ignoto: sonetto per Sveno, in «Giornale storico della letteratura italiana», vol. CLXXV, fasc. 571 (1998), pp. 396-415.
Già tempo un reo procurator romano
alla croce dannava un vagabondo
galileo, grande il cuor, puro la mano,
misero, e amava i dolci amici e ’l mondo;
e il Quirite era un vile, e di quel biondo
capo innocente gli dispiacque invano…
la sera ei forse banchettò giocondo
tra un corteggio loquace italïano;
o Roma! e niun si ricordò del Foro,
nessun vedeva, o Campidoglio augusto,
sul bronzo incise le tue leggi d’oro;
ché se di quei romani in Palestina
alcuno apriva il facil labbro al giusto,
tu ancor saresti, o maestà latina!
Didascalie
1. Piazza Maggiore durante la manifestazione del Primo Maggio 1890 nell’opera del pittore Giovanni Masotti, Bandiera bianca. Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Biblioteca di San Giorgio in Poggiale.
2. Facsimile dell’autografo della poesia La voce (1903). Collezione privata.
3. Nota 11 dei Carabinieri Reali del 25 gennaio 1877: “Nella detta sera il primo che prese la parola si fu lo studente Battistini da Ravenna, il quale dimostrò ai soci che i governi di una volta formavano le leggi secondo i loro voleri, e che in seguito hanno procurato che queste leggi riescissero in modo che all’operaio fossero tolti tutti i diritti, tutti i mezzi e tutta la libertà, per renderlo schiavo e povero e che per liberarsi da queste leggi e da tali governi bisogna fare la rivoluzione e distruggere Governo, impiegati e ministri, ed impiantare nuove leggi, per rendersi tutti uguali, senza che vi sia bisogno di Governo e nemmeno di Forza”. Archivio di Stato di Bologna, Prefettura di Bologna, Gabinetto, b. 291.
4. Nota 289 della Questura di Bologna del 5 febbraio 1879: “Il Battistini Sveno, da Rimini, per ragione di studi dimora attualmente in questa città nella via dell’orto botanico n. 9: è certo che egli appartiene all’internazionale pel fatto non solo che fin dal 1877 prese parte ripetute volte alle segrete adunanze che si tenevano dagli affiliati alla medesima, ma perché proferì in esse discorsi eccitanti alla rivolta e si trova poi in corrispondenza coi più noti capi internazionalisti fra cui specialmente il Faggioli Alceste...”. Archivio di Stato di Bologna, Prefettura di Bologna, Gabinetto, b. 448.
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